ENERGIA La centrale di Tavazzano-Montanaso compie 70 anni: l’accensione fu “celebrata” da De Gasperi

Il gigantesco impianto elettrico, alle porte di Lodi, ha attraversato una parte del Novecento

La cubica sagoma dagli alti camini della centrale di Tavazzano assomiglia a una colorata costruzione di Lego che, nebbia permettendo, scorgi da lontano in ogni punto cardinale sul biliardo della Pianura Padana. Cresciuta a fianco di due collegamenti storici di terra e acqua, la via Emilia e il canale Muzza, produce energia elettrica da settant’anni.

Perché Tavazzano?

Ma perché nel 1950 fu deciso di costruirla proprio in questo luogo del Lodigiano? Per la vicinanza ai giacimenti di gas naturale di Cortemaggiore, Caviaga, Cornegliano e ai centri importanti di consumo, vedi Milano; per la facilità di immettere l’energia prodotta nelle linee ad alta tensione che qui si incrociano, provenienti dal Sud, dalla Valle Venosta e dalla Valtellina; e per la possibilità di utilizzare gli 8 metri cubi al secondo di acqua fresca - periodi di siccità esclusi - regalati ai suoi impianti dalla Muzza. Si scomoda persino il presidente del Consiglio Alcide De Gasperi per inaugurare la centrale termoelettrica di Tavazzano: sono le 8.30 di domenica 1° giugno 1952. “Chi sosta nel salone delle macchine possenti e perfette non può sottrarsi a meditare: sono l’espressione del benessere e del progresso. Per questi alternatori e queste turbine hanno studiato e faticato centinaia di uomini al fine di dare energia a migliaia di macchine attorno alle quali si affaccendano per trarre ragioni di vita”, scrive quel giorno con enfasi il «Corriere della Sera».

Numeri record

La nuova centrale, in grado di funzionare a metano, benzina industriale o nafta pesante, è alla stregua di un portone spalancato sul futuro del Paese: l’interruttore della luce di quello che sarà il boom economico. Tutto è da record. Come il trasformatore di 170 tonnellate arrivato dalla Germania via ferrovia nel gennaio 1959: “Mai prima d’ora un treno ha avuto un carico di tale peso e mole in Italia. Il convoglio non può superare i 25 km/h e la direzione ferroviaria ha dovuto studiare il percorso dal Brennero a Tavazzano minuto per minuto per evitare che incrociasse altri treni. Il convoglio speciale è preceduto e seguito da una staffetta di ferrovieri”. Reclama energia per correre l’Italia, e Tavazzano è in prima fila.

Gli anni Settanta

Negli anni 70 però, tra contestazioni sindacali, austerity e terrorismo, il clima cambia e la centrale entra nell’occhio del ciclone. “Sciopero di due ore con assemblea al cantiere Enel di Montanaso Lombardo, nei pressi di Lodi, dove è in costruzione una nuova centrale termoelettrica con una potenza complessiva di 640 megawatt, potenza doppia degli impianti attuali. I sindacati chiedono la verifica delle condizioni di lavoro dei 700 dipendenti delle venti imprese appaltatrici e il controllo dell’inquinamento idrico e atmosferico”. Nel marzo del 1979 all’impianto vengono applicati i sigilli. “In tre anni il numero dei lavoratori è salito a 890 unità, gli incidenti sul lavoro leggeri, che hanno richiesto meno di tre giorni di prognosi, sono stati 830; quelli per cui le cure hanno superato i tre giorni 201; i ricoveri al pronto soccorso per lesioni gravi sono stati 63; un lavoratore è anche morto nel cantiere - scrive il quotidiano milanese -. I sindacati dopo i gravi infortuni hanno sollecitato l’intervento dell’Ispettorato del lavoro che da allora manda i suoi funzionari nel cantiere tre-quattro giorni alla settimana. Di fronte a questa situazione insostenibile il pretore di Lodi dottor Oscar Koverech ha ordinato il sequestro dell’intera area del cantiere”. E i lavoratori, per non essere posti in ferie forzate, timbrano lo stesso il cartellino. Le attività, una volta che le 82 ditte si sono messe a regola di legge, riprendono a maggio del ’79, ma a novembre della centrale se ne paventa persino la chiusura definitiva: “La crisi energetica non esenta nessuno dall’obbligo di «non inquinare», nemmeno l’ente pubblico. Questa è la morale delle conclusioni del Comitato regionale contro l’inquinamento atmosferico. Sul tavolo i commissari del Crial (l’organismo di controllo presieduto dall’assessore all’Ecologia, Pisoni, e composto da tecnici qualificati) avevano il caso della centrale Enel di Tavazzano, un impianto che ha fatto parlare di sé non solo per la salute dell’aria ma anche per i gravi incidenti sul lavoro verificatisi recentemente nel corso delle opere di espansione”.

Le Brigate rosse

Si chiude il vecchio 1979 e si apre il nuovo 1980 allo stesso modo: con choc e paura. La centrale di Tavazzano diventa un obiettivo delle azioni delle Brigate Rosse e dei Nuclei Comunisti Combattenti rivendicate con volantini e scritte (“Vi ammazzeremo, per voi è finita”) contro operai e sindacalisti: un incendio di origine dolosa di due auto e un pulmino parcheggiati davanti all’albergo Milanesi di Dresano, in cui alloggiano una quindicina di manovali di una ditta appaltatrice; il sabotaggio di una gru e di due camion; l’incendio appiccato a un deposito di materiali. Una strategia della tensione che tocca il suo apice quando, durante il controllo di una squadra addetta alla sicurezza, uno sconosciuto fa cadere sui lavoratori da un’altezza di trenta metri alcune griglie di ferro che per pochi centimetri non provocano una strage; e con il ritrovamento di un recipiente contenente un litro di liquido infiammabile, collegato a una rudimentale miccia spentasi, forse grazie all’umidità, prima di innescare l’ordigno. L’onda rossa del terrorismo si è infranta sulla roccia dello Stato quando il Ministero dell’Industria invia alla Regione Lombardia la richiesta di localizzazione a Tavazzano di altri due gruppi da 320 Mw, alimentati a carbone. Si apre così un decennio caratterizzato da polemiche fra le istituzioni che sfociano in numerose manifestazioni di protesta, convegni, referendum e dibattiti.

La paura del carbone

È eloquente il titolo dell’articolo uscito il 10 gennaio ’82: “La grande paura del carbone. Tutte le forze politiche del Lodigiano sono d’accordo: la centrale elettrica a carbone prevista a Tavazzano non s’ha da fare; questa linea di condotta, tenuta dai lodigiani, si scontra con le opinioni dei compagni di partito che hanno incarichi a livelli più importanti in seno alla Regione Lombardia governata da un pentapartito (Dc, Psi, Psdi, Pri, Pli), e all’amministrazione di Milano retta da una giunta di sinistra. All’incontro organizzato a Tavazzano l’altra sera dalla Democrazia Cristiana per discutere sul tema hanno partecipato quasi tutte le forze politiche e il coro di «no» è stato unanime, nonostante l’Enel abbia garantito misure antinquinamento necessarie alla tutela dell’ambiente. «Come possiamo fidarci - è stato chiesto - se la compagnia elettrica nazionale non vuole neppure rispettare l’atto del 1975 in cui si impegnava a non attivare i nuovi impianti termoelettrici senza prima aver adeguato i vecchi?!». «La nostra zona - ha sottolineato Giampaolo Colizzi vicesegretario provinciale socialdemocratico - è nebbiosa, priva di vento, per cui polvere e fumi in uscita dai camini ristagnano. E vicino c’è lo stabilimento della Polenghi-Lombardo, inaugurato pochi mesi fa». «Non sono contro la costruzione di nuove centrali - ha dichiarato il presidente della società lattiero-casearia Giovanni Andreoni -, però la scelta di Tavazzano per la centrale a carbone è completamente sbagliata perché viene inquinato uno dei terreni più fertili del nostro Paese»”.

Poi sono le associazioni ambientaliste Wwf, Italia Nostra e Adda Nostra a urlare la loro contrarietà. I dati ufficiali sono del resto eloquenti: “Per fare funzionare i due nuovi gruppi da 320 megawatt l’uno servono 2.840 tonnellate al giorno di carbone (circa un milione di tonnellate l’anno) da far arrivare via ferrovia dai porti di Genova, Savona e Trieste. Ogni ventiquattro ore si accumulano ceneri per 150 tonnellate e dai camini escono 280 tonnellate di scorie inquinanti…”. La Regione Lombardia, a difesa della sua scelta, specifica che all’Enel è stato imposto di sostituire i due gruppi a carbone senza sottrarre terreni agricoli; che il carbone impiegato deve contenere lo zolfo solo all’1 per cento, rispetto al 3 del gasolio; e che i gruppi attualmente a gasolio saranno sostituiti dal metano. Il 9 luglio ‘82 il Consiglio regionale, dopo una seduta di sette ore terminata con 40 sì, 20 no e 3 astenuti, autorizza la conversione di Tavazzano sulla via del carbone. Un esito sostenuto dal sindaco di Milano Carlo Tognoli: “È volontà della nostra amministrazione attuare il teleriscaldamento nell’area metropolitana nello spirito degli accordi tra Enel, Regione e Comune”; e soprattutto dal ministro dell’Industria Giovanni Marcora: “L’impianto sarà pronto tra sei-sette anni, per cui verranno messe in atto tutte le innovazioni tecnologiche che saranno maturate. Anche se ci fosse da spendere qualche lira in più”.

Due anni dopo – siamo nel novembre 1984 – ecco il colpo di scena della maggioranza pentapartitica regionale: “Fermato il progetto carbone per Tavazzano. Sia l’odor di elezioni più che il puzzo di anidride solforosa, sta di fatto che per la modifica e il potenziamento dell’impianto si odono campane a martello. Posizione comune di Dc e Psi: si ridiscuta tutto”. Da adesso in poi si scatena una rissa politica-istituzionale che vede persino la Regione cercare velleitariamente di coinvolgere scienziati americani e inglesi nel ruolo di arbitri: “A precisa domanda risponderanno se l’impianto va fatto oppure no”.

A metà maggio ‘85 il Lodigiano ribadisce la sua opposizione: “Il risultato del referendum consultivo indetto in concomitanza con le elezioni amministrative per iniziativa di tutte le forze politiche e di numerose associazioni ha infatti visto la netta vittoria dei contrari alla conversione dell’impianto energetico. Massiccia la partecipazione al voto (88,8%): su 41.827 votanti, 37.723, il 90,2 per cento, si sono espressi per il «no»; 3.394, l’8, 1 per cento, per il «sì»; solo 710 le schede bianche e nulle, l’1,7 per cento. Al referendum avevano aderito sei Comuni: Lodi, Lodi Vecchio, Montanaso, Tavazzano, Mulazzano e Dresano”. Trascorrono soltanto tre settimane e con una lettera indirizzata al sindaco di Montanaso Lombardo Silverio Gori, l’Enel comunica che il 5 giugno sono iniziati i lavori per le sezioni 3 e 4, ognuna di 320 megawatt, della centrale a carbone. Sconcerto e rabbia regnano sovrani. Manifestazioni di protesta che bloccano la via Emilia, in faccia ai cancelli della centrale, sono quasi all’ordine del giorno. Anche il vescovo di Lodi, monsignor Paolo Magnani, si schiera: “Non si tratta di una opposizione antiprogressista. Pur riconoscendo il problema sociale della ricerca di nuove fonti di energia, ho condiviso in pieno, dopo le mie visite pastorali, la posizione del popolo lodigiano preoccupato per gli effetti che una centrale a carbone potrà avere sull’ambiente. Non mi do pace nel pensare che una terra tra le più fertili d’Europa debba vedersi sorgere un centro carbonifero”.

La battaglia continua: l’Enel vince il ricorso al Tar contro il comune di Montanaso che nel frattempo aveva con una delibera bloccato i lavori: “La realizzazione della centrale tende ad assicurare un risparmio sulla spesa energetica e ogni anno di ritardo nella costruzione provoca perdite economiche alla collettività», dice la sentenza. Inoltre la Regione boccia la richiesta di referendum regionale sul tema promossa da Democrazia Proletaria e firmata da 22.000 cittadini.

Carbone per Santa Lucia

È Santa Lucia del 1985 quando una delegazione di cittadini lodigiani porta in regalo agli assessori regionali del carbone avvolto in carta natalizia: “Questo sarà per sempre il nostro regalo grazie a voi”, si legge sul biglietto. Il socialista Oreste Lodigiani, dopo l’opposizione fatta in Regione Lombardia, nel 1986 guida alla Camera una settantina di deputati contrari al carbone e rende noto l’esito di un’indagine condotta dalle università milanesi: “Gli scarichi della centrale sono responsabili delle piogge acide di una vasta area della Pianura Padana”. Il consiglio di amministrazione dell’Enel non arretra ma rilancia stanziando un investimento aggiuntivo di 330 miliardi, che porta il costo complessivo dell’impianto a quasi 1.500, per garantire la centrale a livello ecologico “con un impianto a protezione dell’ambiente come ce ne sono pochi al mondo”. Il 26 marzo 1987 il «Corriere» racconta a sorpresa di una possibile svolta storica: “Carbone addio. La Regione mette la parola fine alla Tavazzano-story. In sei anni un susseguirsi di: avance, litigi, indissolubili unioni, divorzi, progetti, calcoli, fantasie, decisioni, sentenze di tribunali, marce in piazza, appelli popolari. Una telenovela da strapaese. Ma sarà veramente finita?”.

Lo stop definitivo

Il “no” al carbone è ribadito dalla Regione e dalla stessa Enel nel 1989, e infine trent’anni fa, così descritto sul giornale del 23 giugno 1992: “A scrivere la parola fine sono stati ieri mattina, in Regione, alla presenza dell’assessore all’Energia Giancarlo Morandi, il direttore centrale dei rapporti con gli enti locali dell’Enel Umberto Bolelli, il presidente del Consorzio del Lodigiano Gianluigi Pandolfi, i sindaci Antonio Montani (Lodi), Silverio Gori (Montanaso), Livio Bossi (Tavazzano) e Francesco Zoppetti (Lodi Vecchio), che hanno sottoscritto la convenzione che chiude la vicenda. Il Lodigiano raggiunge dunque l’obiettivo più ambito: l’esclusione ufficiale dell’impiego del carbone solido nell’impianto. Inoltre ottiene un indennizzo economico di 40 miliardi e l’impegno dell’Enel nella tutela ambientale. Il primo articolo della convenzione definisce la centrale un «impianto policombustibile», nel quale non sarà bruciato carbone”. Vittoria, quindi, della popolazione dopo una lunga lotta.

Da Enel a Endesa (e poi E.on)

Il nuovo secolo apre i cancelli della centrale ai cittadini, per un titubante avvicinamento al “mostro” seduto sulla soglia di casa. Domenica 2 luglio 2000, per la prima storica volta, previa prenotazione, si va alla scoperta dell’impianto con visite guidate. La fine del monopolio di Enel, che diventa una holding industriale con la cessione entro il 1° gennaio 2003 di energia per 15.000 megawatt, trasferisce la proprietà dell’impianto di Tavazzano alla spagnola Endesa (in seguito assorbita dal gruppo tedesco E.on). E sul tavolo, anche con le società straniere, fanno ancora discutere le ipotesi di ampliamento. Nel 2004 si oppongono sia la Provincia sia il Comune di Lodi: «Non diciamo che esista un legame univoco fra i dati della mortalità per tumore ai polmoni e l’attività della centrale - dichiara il sindaco Aurelio Ferrari - ma in una situazione con tali problematiche è d’obbligo maggior cautela, anche da parte della Regione, nel sostenere certe scelte».

Gli investimenti cechi

Appare almeno una vena d’arte nell’abbattimento nel 2008 di una delle due vecchie ciminiere in cemento alta 60 metri: crolla a terra dopo che l’artista Paolo Baraldi l’aveva decorata con le fattezze di un albero. Oggi Ep Produzione – facente parte del gruppo ceco Eph proprietario dal 2015 – grazie all’accordo con le amministrazioni locali, a cui ha versato una somma di 13 milioni, sta lavorando con Ansaldo Energia al turbogas. Un investimento di 400 milioni che garantirà da fine 2023 rendimenti molto più elevati senza aumentare le emissioni. Una tappa verso il mix energetico del futuro - come indicato dalla Ue non senza divisioni - che prevede più rinnovabili per contrastare la crisi climatica, ma anche fonti stabili di transizione come il metano e il nucleare. Due anni fa il progetto è però finito in Parlamento con tre interrogazioni presentate in commissione ambiente dalla deputata Valentina Barzotti del M5S. In considerazione del fatto che nel 2018, secondo i dati dell’Agenzia europea per l’ambiente, ci sono stati in Italia 59.500 morti a causa delle polveri sottili (Pm2,5), di cui quasi la metà, 24.000, nel bacino padano e 292 di questi nella sola provincia di Lodi. Dalla storia alla cronaca, la centrale di Tavazzano resta sempre un elefante, cresciuto fino a sfiorare i 2.000 megawatt, che vive in 70 ettari di una cristalleria, il Lodigiano.

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