Altri cinque anni per l’estrazione a Cavenago del gas metano voluto da Mattei

Regione Lombardia dice sì alla richiesta di Eni, nuovi obblighi ambientali per le trivellazioni dismesse

L’avventura del metano italiano era partita nel 1949 da Caviaga, dove il “pozzo 1” datato 1944 aveva convinto Enrico Mattei a non liquidare l’Agip ma a far rinascere l’industria italiana degli idrocarburi. Attualmente sono 9 i pozzi dell’omonima concessione governativa all’Eni Spa tra Cavenago d’Adda, Mairago e Turano , che attingono a un giacimento di gas naturale a cavallo tra Lodigiano e Cremasco trivellato a profondità dai 1.400 ai 1.900 metri che aveva una potenzialità di 12 miliardi di metri cubi. Quasi dieci volte quella dello stoccaggio di Cornegliano Laudense, dove invece il metano non viene attinto dalla natura ma solo messo “in deposito”.

Ieri Regione Lombardia, su proposta dell’assessore all’ambiente Raffaele Cattaneo, ha dato il via libera al ministero della Transizione ecologica per la proroga dall’1 gennaio 2022 all’1 gennaio 2027 della concessione Caviaga.

«La richiesta presentata da Eni è motivata dalla necessità di completare lo sfruttamento del giacimento - spiega l’assessore Cattaneo -. Si tratta di un’istanza di proroga di attività in corso che non prevede ulteriori lavori di ricerca, ma mantiene l’utilizzo degli impianti e dei pozzi in esercizio». Attualmente, sei pozzi sono produttivi e in erogazione, altri due sono ancora considerati produttivi ma il “rubinetto” è chiuso, e uno è destinato a operazioni di “reiniezione”. Risultano tutti censiti come pozzi di gas naturale anche se la concessione dà la possibilità di attingere anche idrocarburi liquidi.

«L’istanza - aggiunge l’assessore Cattaneo - è il risultato di un lavoro di concertazione con i tre Comuni, che ha permesso d’individuare interventi per il territorio e a sostegno dei cittadini».

Prevista anche la possibilità di finanziare una “social card” per i residenti.

La proroga prevede anche che l’Eni presenti al ministero della Transizione un piano di chiusura mineraria per ogni pozzo non più produttivo, entro un anno dall’esaurimento, con un cronoprogramma di chiusura e ripristino ambientale. La trivellazione aveva richiesto la costruzione di enormi tralicci, poi dismessi: attualmente i pozzi si presentano quasi sempre come tubi che sporgono dal terreno, debitamente recintati e dotati di misure e sistemi di sicurezza.n

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