Sgiafe, sberle, tighe, catafighi e slavadenti...

Parlando di urti e spintoni siamo incappati nella parola fracco: italianissima, ma ospite a pieno diritto di questa rubrichetta perché, come abbiamo detto, scopiazzata dal dialetto. Fraccare (premere, schiacciare) è infatti una voce settentrionale che ci arriva dal latino medioevale fragicare, a sua volta figlio (potremmo dire “illegittimo” mancando documentazione scritta della sua “paternità”) del classico frangere, ‘rompere’.Se in italiano fracco si usa soltanto in relazione a percosse (un fracco di botte, di legnate ecc.) nel nostro dialetto assume invece il senso di quantità più in generale: diciamo infatti anche noi “l’à ciapad un frach de legnade”, ma anche, ad esempio, “gh’era un frach de gent”. Come pure possiamo affermare che “gh’é n’é un frach” di termini che esprimono l’azione del “menare le mani” (nonostante la nostra consolidata nomea di “gente di buona indole”): sgiafe, slepe, scüfioti, slavadenti, paton, papine, leche, tighe, catafighi... A nostra parziale giustificazione dobbiamo però dire che gran parte di questi termini non sono di produzione locale: in una sgiafa presa a Lodi riconosciamo facilmente, ad esempio, l’impronta dello schiaffo che ci arriva dalla Toscana, dello stiaffo di origine umbra, dello scaffu di provenienza pugliese ecc.Più sonoro della sgiafa, lo sgiafon trova un sinonimo linguisticamente più interessante nella slepa - voce diffusa in tutto il settentrione d’Italia - che ci conferma che questi termini sono merce d’importazione. La ritroviamo infatti, non a caso, sia nell’inglese slap (schiaffo) sia nel tedesco Schlappe (batosta), dal quale appunto ci arriva la slepa, probabile ricordo di “giöghi de man...” di antichi bellicosi “ospiti” d’oltralpe.Una curiosità: slepa sta anche per ‘grossa fetta’ (di carne, di polenta, di cibo in generale), e con questa accezione la sentiamo pronunciare dalle Alpi fino al Tevere, verosimilmente originata dal paragone con una mano aperta.Interessante anche il termine scüfiot, di area lombarda, equivalente all’italiano ‘scappellotto’: come dire ‘dare un colpo sulla cuffia’ o ‘sul cappello’, espressione che - ancora una volta - trova un equivalente nel tedesco popolare.Dalla Lombardia al Triveneto volano gli slavadenti (forse intesi come schiaffi così violenti da “levare” - o “lavare”? - i denti), mentre lo sganason lo prendiamo dall’italiano di ambito regionale sganassone/sganascione: forte colpo dato sulla guancia, quasi a ‘slogare le ganasce’.E la comunissima sberla? È una parola entrata nel vocabolario della lingua italiana soltanto dopo l’unità nazionale, portata in eredità dai dialetti settentrionali. La sua etimologia è considerata incerta (probabilmente dopo lunghe e accanite baruffe a suon di schiaffi fra gli studiosi). Per darle una veste più locale, più lodigiana, dobbiamo rincarare la dose, arrivando a distribuire sberlon, sberluton e così via. Ma attenti agli equivoci: una porta o una finestra sberlada non è ‘schiaffeggiata’ ma semplicemente ‘spalancata’.Dopo questa grandinata di sberle non ci rimane più tempo per porgere l’altra guancia. Le papine e il resto li vedremo la prossima volta.

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