Se immigrare diventa un inferno

Un Rapporto del Pentagono, risalente al 2004, descrive gli scenari apocalittici di un improvviso cambiamento climatico: la terra è sconvolta dalle alluvioni, i ghiacciai alpini si sciolgono, i deserti avanzano e folle derelitte vagano per il pianeta in fuga dalle guerre e dalla fame. Non è facile contestare queste proiezioni, che sono sostanzialmente in linea con quelle che Al Gore, candidato democratico alla presidenza U.S.A. nel 2000 e Premio Nobel per la Pace 2007, ha delineato nel film-documentario “Una scomoda verità”. C’è da osservare peraltro che questi terribili scenari non fanno paura a nessuno per il semplice fatto che sono già ampiamente superati dalla realtà. Del resto, basta guardarsi attorno per capire che il futuro è già cominciato. Quale altro significato hanno i surreali sbarchi a Lampedusa e lungo le coste ioniche della Calabria e della Sicilia sud-orientale di barconi stracarichi di giovani e bambini, provenienti dalle coste del nord-Africa o del continente asiatico? Il mondo è diventato un carnaio e i poveri sono i primi a pagare cercando altrove un rifugio. L’Italia, meta agognata del popolo dei migranti, non riesce, dal canto suo, a valorizzare e integrare nel corpo sociale queste nuove forze che si affacciano alle soglie della civiltà e del progresso e si muove tra vistose ambiguità e contraddizioni. Sarà anche colpa della stagnazione economica e produttiva, ma è un fatto incontestabile che nel nostro Paese l’immigrazione è risucchiata nel baratro del lavoro nero, sfruttata per tenere in piedi il business che ruota attorno alla gestione amministrativa delle molteplici attività (assistenza, accoglienza, iniziative caritatevoli, trasporti aerei, ecc.), strumentalizzata per carpirne miseri vantaggi per l’economia locale derivanti dalla nuova domanda di alloggi, servizi e beni di consumo. Accogliamo tanta gente per un preteso spirito di solidarietà spendendo un mucchio di soldi pubblici, ma poi la lasciamo allo sbando e un inimmaginabile degrado. E in queste condizioni la vita degli immigrati può diventare un calvario o un inferno.Sull’immigrazione c’è un acceso dibattito, ma pochi colgono l’aspetto più inquietante e paradossale: l’organizzazione è in mano alle mafie internazionali, che decidono tempi, rotte e flussi, mentre i poteri di regolazione dello Stato, definiti da celebri normative aventi il marchio della destra o della sinistra, esistono solo sulla carta. Senza l’intervento dei mercanti di morte nessun barcone partirebbe dalle coste libiche per approdare in Calabria o in Sicilia. Qui sta la differenza con le grandi migrazioni storiche, sviluppatesi nel corso dei secoli, dall’antichità classica fino alla metà degli anni Cinquanta, che erano effettuate da comunità libere di decidere il proprio destino, senza alcuna costrizione che non fosse quella imposta dalle condizioni sociali, economiche e ambientali. Pertanto, prima di capire come muoversi e cosa fare, bisognerebbe operare per sottrarre l’immigrazione alle organizzazioni del crimine, che sui traffici illeciti hanno costruito imperi finanziari. Per dare una soluzione soddisfacente al problema, serve fissare alcune idee basilari e metterle in pratica con fermezza. Primo. Accogliere sul nostro suolo milioni di immigrati, qualunque ne sia la causa, come invitano a fare importanti esponenti della politica e della cultura, non solo non risolve i problemi dell’ingiustizia e della povertà nel mondo, ma li accentua, perché priva i Paesi poveri delle forze più giovani e dinamiche provocando collasso socio-economico e instabilità geopolitica. Inoltre è da rimarcare che forti spinte immigratorie in aree di vecchia industrializzazione, inquinate e densamente popolate, quali sono l’Italia e gli altri Paesi dell’Europa a sei, non portano benessere e ricchezza, ma impoverimento e decadenza. Secondo. L’immigrazione clandestina, che è di fatto l’unica forma di immigrazione in atto, va disincentivata tramite l’attuazione di idonee politiche di cooperazione e sviluppo a favore dei Paesi di origine, con l’obiettivo di dare lavoro ai giovani nella loro terra, perché è fondamentale il diritto delle genti a emigrare, ma ancora più importante è il diritto primario a non emigrare. Lo ha affermato in un suo messaggio per la giornata mondiale delle Migrazioni Papa Benedetto XVI, esprimendo il concetto con le stesse parole in precedenza usate da Papa Giovanni Paolo II. Terzo. I fuggiaschi vanno aiutati con assoluta priorità sia sotto l’aspetto della sicurezza sia sotto l’aspetto dell’inserimento sociale. Tuttavia le dimensioni immani che hanno e avranno sempre più in futuro le migrazioni, secondo quanto indicano le indagini prima richiamate, suggeriscono molta prudenza nel regolare gli ingressi e nell’affrettarsi a concedere diritti di cittadinanza. Bisogna vigilare che l’accoglienza agli immigrati sia in ogni caso commisurata alle risorse economiche e naturali della Nazione in modo da evitare, in analogia a quanto raccomanda saggiamente il Vangelo (Matteo, 25,9), che non manchi l’olio per le lampade a noi e a loro.

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