Quel freddo che viene dalla Svizzera

L’Unione europea ha ricevuto nello scorso autunno il Premio Nobel per la pace «a motivo dei 60 anni di progressi nel campo della pace, della riconciliazione tra i popoli, della democrazia e dei diritti umani in Europa». Il belga Herman Van Rompuy, presidente del Consiglio europeo, organo esecutivo dell’Ue,

ha sottolineato in questa occasione che l’Europa oggi «è la più grande macchina per la pace, mai creata nel mondo».

Vista dalla Svizzera, un piccolo Paese di 8 milioni di abitanti nel centro dell’Europa, l’Ue non fa più molta gola. Certamente, dal 12 dicembre 2008, la Svizzera fa parte dello spazio Schengen, dal momento che la libertà di circolazione delle persone è stata approvata dal popolo elvetico. L’8 febbraio 2009 con il 59,6% dei voti, si è approvato che l’accordo venisse esteso oltre il 2009 e che fossero incluse anche la Bulgaria e la Romania.

Oggi, il tentativo di far passare una simile adesione rischierebbe di scontrarsi con un fallimento in sede di votazione popolare. Gli euroscettici trionfano, è il disincanto. In effetti, chi si oppone alla libera circolazione parla molto velocemente di Schengen come di un «disastro», come fa il partito della destra nazionalista «Unione democratica di centro» (Udc), che focalizza la sua propaganda sul «numero sempre crescente di immigrati illegali e di turisti criminali che arrivano sul suolo elvetico».

Incollata alle proprie difficoltà, a motivo della crisi della zona euro, e al quasi fallimento di Paesi come la Grecia, il Portogallo e la Spagna, l’Ue sembra, vista in particolare dalla Svizzera tedesca, ma anche dal Ticino italofono, vicino dell’Italia, un insuccesso. Gli eurofili si mantengono sul basso profilo.

Vent’anni dopo aver rifiutato con voto popolare di entrare nello Spazio economico europeo (Eee), gli svizzeri non sono mai stati così contrari, vale a dire il 57,8%, secondo un sondaggio dell’Istituto Isopublic del novembre scorso. Gli svizzeri romandi, francofoni, sono in media più favorevoli che gli svizzeri tedeschi. Riguardo l’integrazione nell’Ue, il sondaggio è ancora più chiaro: tra il 1993 e il 1997, un terzo degli Svizzeri era favorevole. Alla fine del 2012 sono solo l’11,5%, contro l’81,7% di contrari (6,8% schede bianche). Le tensioni tra i Paesi membri dell’Ue sono certamente dovute a qualche motivo, come le minacce di crollo dell’euro e le pressioni al ribasso dei bilanci sociali, dei fondi di aiuto allo sviluppo e delle partecipazioni alle opere di mantenimento della pace: ancora una volta, gli svizzeri non ne hanno voglia, perché l’Ue, sotto molti aspetti, sembra oggi solo l’ombra della comunità che ha fatto uscire l’Europa dalle guerre.

E tuttavia la Svizzera non è mai stata così fredda sul piano internazionale. Ricordiamo che nel 1901 uno svizzero, Henry Dunant, ricevette il Premio Nobel per la pace, per aver fondato la Croce Rossa Internazionale e per aver dato vita alla prima Convezione di Ginevra. La prima cattedra al mondo di integrazione europea è stata creata nel 1957 all’Università di Losanna e affidata al prof. Henri Rieben che l’ha occupata fino al pensionamento nel 1991. Ed è ancora a Losanna, nel cuore del campus universitario, che Jean Monnet, uno dei padri fondatori della Comunità europea, creò nel 1978 la «Fondazione Jean Monnet per l’Europa» (www.jean-monnet.ch), luogo di memoria, ricerca, riflessione e incontro.

Gli svizzeri dimenticano che l’Ue, a volte vilipesa per la sua tendenza a dimenticare i valori e lo spirito che hanno animato i suoi padri fondatori, ha permesso a questo continente di uscire dagli antagonismi nazionali che hanno causato due guerre mondiali con un bilancio umano disastroso. L’Ue è il più importante donatore mondiale di aiuti umanitari e allo sviluppo. È attiva sulla scena internazionale nel campo della lotta contro i cambiamenti climatici, anche se le si può rimproverare di non avere ancora una politica comune di difesa, come si vede nell’operazione francese contro il terrorismo islamico nel Mali.

«Continuate, continuate, non c’è altro futuro per i popoli d’Europa che nell’Unione» incitava Jean Monnet. Ma pensare l’Europa come uno spazio economico unito «per meglio affrontare la concorrenza americana o asiatica è superato oggi. Questa argomentazione non è più sufficiente», scriveva il dissidente, scrittore e uomo politico ceco Vaclav Havel. L’Europa deve ricordarsi la sua tradizione spirituale. «Scoprirà l’esistenza dell’Altro - sia nello spazio che la circonda, che ai quattro angoli del mondo - per assumere questa responsabilità fondamentale, e non alzerà mai più lo sguardo presuntuoso di un conquistatore, ma al contrario, il viso umile di chi prende la croce del mondo sulle sue spalle».

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