La necessità del dialogo e le 164 moschee

Si conclude in questi giorni il mese di preghiera e digiuno che coinvolge milioni di persone in tutto il mondo musulmano dei cinque continenti. Iniziato il 9 luglio scorso rappresenta la manifestazione religiosa collettiva più vistosa del pianeta. Interessa, in maniera sempre più avvertita, anche il mondo occidentale dove, pur essendo in atto un processo di secolarizzazione tra i fedeli dell’Islam - molti dei quali hanno abbandonato la pratica religiosa tradizionale - questi si mostrano sensibili alle scadenze del calendario religioso loro proprio e fanno gesti di appartenenza culturale partecipando almeno alla grande festa dell’“Id al-fitr”, la festa di conclusione del Ramadan. A questa ricorrenza, oltre alla convivialità e alla manifestazione della gioia di sentirsi riconciliati con Dio e purificati dai peccati, si accompagnano normalmente atti di solidarietà e fraternità, chiamando alla festa poveri ed emarginati e anche persone estranee alla comunit à. In Italia la comunità musulmana, pur essendo divisa in diverse organizzazioni e correnti, complessivamente si compone di oltre un milione e seicentomila fedeli, che si ritrovano in 164 moschee, 222 luoghi di culto, 120 centri culturali e 275 associazioni. Questa frammentazione che, in diverse occasioni, salta agli occhi a chi è a contatto con la presenza locale nelle nostre città, nel mese di Ramadan viene superata o coperta per la preponderanza del momento religioso che, nonostante tutto, è sedimentato profondamente nella coscienza del popolo.In questo momento, purtroppo, i Paesi a maggioranza musulmana sono in forte tensione o in aperta conflittualità. Questa situazione preoccupa tutti per la perdita di vite umane, l’immane sofferenza di quei popoli, dall’Egitto alla Siria, all’Afghanistan, all’Iraq, e affligge quelle comunità cristiane che vivono come isole dentro quel mondo cui di diritto appartengono e che spesso risulta loro estraneo o ostile. È anche una situazione che fa risaltare la contraddizione tra l’asserita priorità della “misericordia” che è considerata chiave interpretativa di tutta la fede musulmana e la durezza delle azioni e reazioni della parte politica di quel mondo, in cui albergano ancora fondamentalisti e terroristi che presumono di assolvere una missione religiosa.I cristiani, in questi momenti di festa, riaffermano la loro stima per i musulmani fedeli al Dio che invocano come pieno di misericordia ogni volta che pregano e ogni momento in cui si esprimono pubblicamente secondo la formula “Bismillahi r-rahmani r-rahimi” - “Nel nome di Dio, ricco di clemenza, abbondante in misericordia”. Un giovane teologo (Pallavicini), volendo riassumere la dottrina teologica dell’Islam, ha intitolato un suo libro, in cui parla di Dio, “Il Misericordioso”.All’inizio e alla fine del Ramadan molti vescovi, da monsignor Bassetti di Perugia al cardinale Scola di Milano, hanno inviato messaggi augurali alle comunità musulmane presenti nei loro territori. Scambi di messaggi avvengono anche a livello locale tra preti e imam o rappresentanti di organizzazioni musulmane. Dal 1967, in maniera ufficiale, il Pontificio Consiglio per il dialogo interreligioso invia un messaggio di augurio in cui è sempre presente l’offerta di dialogo e collaborazione nella linea indicata dalla dichiarazione sulle religioni non cristiane, “Nostra Aetate”, del Concilio Vaticano II. Quest’anno Papa Francesco ha voluto inviare un messaggio di suo pugno e con la sua firma, forse ricordando che fu proprio Francesco di Assisi, per primo ad andare in visita al Sultano d’Egitto per parlare con lui di Gesù e invitarlo a fare pace. Con questo gesto il Papa incoraggia i cristiani a non avere paura e ad andare nelle periferie del mondo, anche alle periferie religiose, dove resiste una fede che è sempre ricerca di salvezza e di speranza. Anche nella dimensione religiosa italiana, oltre alla massiccia presenza dei musulmani, e anche insieme a loro, dovremmo scoprire le molte periferie religiose in zone geografiche ed esistenziali sconosciute e abbandonate a se stesse (“Vecchi e nuovi dei”, E. Pace). Queste periferie dovremmo esplorare con sentimenti di condivisione e rispetto per essere disponibili a una ricerca comune e dare dignità e senso comunitario al fenomeno religioso nella sua ampiezza e complessità.

© RIPRODUZIONE RISERVATA