Il “normale” impegno dei magistrati

Egr. direttore, nell’edizione di sabato 27 ottobre del quotidiano Il Cittadino, è stato pubblicato a pag. 17 un articolo dal titolo “Armando Spataro ospite speciale a S. Cristoforo”: vi si fa riferimento al mio percorso professionale e si dà notizia della mia partecipazione alla riunione della Commissione Antimafia della Provincia di Lodi che si svolgerà oggi pomeriggio. Nell’articolo vengo poi definito “star dei pm”. La ringrazio innanzitutto per l’attenzione e per la definizione cui attribuisco, magari per presunzione, valenza positiva.Vorrei però spiegare ai lettori del Cittadino, non certo per falsa modestia, perché penso che tale definizione sia del tutto inappropriata per me come per qualsiasi altro mio collega e perché sono convinto, invece, che dobbiamo tutti recuperare la piena coscienza della normalità del lavoro dei magistrati.Il termine star, per cominciare, è proprio del mondo dello spettacolo o dello sport ma, anche se gli eventi degli ultimi decenni di storia nazionale sembrano smentirlo, la giustizia non é né spettacolo, né competizione. E’ solo una funzione delle democrazie, esercitata da uno dei tre poteri su cui esse si fondano. Certo il ruolo svolto dalla magistratura nel contrasto di emergenze criminali di ogni tipo (terrorismo, mafia e corruzione, innanzitutto) e nella difesa dei diritti fondamentali delle persone (penso, ad es., alla tutela della sicurezza dei lavoratori, dell’ambiente e dei diritti degli immigrati) l’ha inevitabilmente e da tempo collocata al centro dell’attenzione pubblica. Ma ciò ha spesso determinato l’esasperazione dei giudizi sul suo operato, sia quelli positivi che quelli critici, così rispettivamente trasformandoli in atteggiamenti di esaltazione (“i magistrati sono eroi”) o, all’opposto, di insofferenza e offesa (“i magistrati sono fuori dalla Costituzione”, “..sono tutti politicizzati”).Al determinarsi di questa anomala situazione hanno contribuito vari fattori: l’arroganza sempre attuale di quella parte della politica (di ogni colore) che mal sopporta il controllo della legalità esercitato dai giudici, un’informazione troppo spesso superficiale quando non etero - diretta, cittadini disattenti ed interessati al loro “particolare” e infine – perché negarlo ? – anche gli atteggiamenti di alcuni magistrati.Ma è giunto il momento di recuperare, come dicevo in premessa, il senso della normalità della nostra funzione: i magistrati non sono né star, né eroi! Sono funzionari dello Stato che svolgono certo una funzione delicata, ma che devono rispettare innanzitutto alcuni ovvi principi costituzionali: la propria soggezione soltanto alla legge e l’eguaglianza assoluta dei cittadini davanti alla legge.Si può pensare che quanti tra noi (fortunatamente la netta maggioranza) si lasciano guidare da questi principi siano per ciò solo star o eroi? La mia risposta è assolutamente negativa anche perché, diversamente, si rischierebbe di generare dannosi equivoci. Stiamo parlando infatti del “dovere” dei magistrati, non di un marchio di qualità: ed il dovere, come si sa, riguarda indistintamente tutti i cittadini!Vi è un’altra ragione, però, per cui non dobbiamo ragionare in termini di eroi e star. Molti magistrati – è vero – si sono trovati a dover condurre indagini pericolose contro mafie e terrorismi di ogni tipo e ben ventiquattro tra loro sono stati uccisi. Un numero senza eguali nel mondo. Ma razionalmente dobbiamo pensare che anche loro, “eroi” per i nostri cuori, erano persone normali che solo casualmente si sono trovati a dover svolgere un lavoro pericoloso: non avevano certo chiesto di occuparsi di mafia e terrorismo, né preteso medaglie per il loro impegno. Ma quando quel compito è stato loro affidato, pur consci dei rischi che ciò comportava, lo hanno svolto con dedizione, senza pensare neppure per un attimo di poterlo rifiutare, Dunque, attenzione a pensare che solo star ed eroi possono condurre indagini così delicate e rischiose: finiremmo con l’avallare la comoda tesi secondo cui unicamente ad un’elite di cittadini, composta da magistrati e poliziotti, spetta il contrasto dei poteri criminali di cui tutti gli altri sarebbero solo spettatori passivi. Non è così, perché la difesa della legalità e della Costituzione ci riguarda tutti. Mi rendo conto che rischio di scivolare nella retorica e voglio allora parlare dell’ “eroismo” che ho incontrato a Lodi: dal 10 gennaio lavoro in Procura come applicato temporaneamente per ragioni di emergenza. Vi rimarrò fino al 31 dicembre e poi arriverà il nuovo Procuratore che assumerà la guida dell’ufficio. Ebbene, in quasi un anno di lavoro in questo palazzo di giustizia – non bellissimo esteticamente - ho maturato un’esperienza preziosa che mi ha arricchito, oltre a permettermi di recuperare un approccio giovanilista ad un carico di lavoro assolutamente inimmaginabile: ho visto in Tribunale colleghe e colleghi, giovani e meno giovani, pm e giudici, penalisti e civilisti, dedicarsi anima e corpo al loro dovere, con entusiasmo e professionalità, sacrificando famiglia e interessi privati; ho visto la polizia giudiziaria ed il personale amministrativo affiancarli con il medesimo senso del dovere e la stessa dedizione. Qualcuno definirà mai questi colleghi “star” o “eroi”? Di certo a loro non interessa: andranno avanti comunque senza lamenti per la propria “solitudine” e senza ricerca di pubblici consensi, l’una e gli altri all’evidenza indifferenti al magistrato.Ma ho conosciuto anche avvocati che, con capacità e dignità, esercitano il loro ruolo, irrinunciabile per la corretta amministrazione della giustizia, consci che gli imputati vanno difesi “nel” processo e non “dal” processo: per loro, l’esempio dell’avv. Fulvio Croce, ucciso proprio per questo a Torino dalle BR nell’aprile del 1977, vive nei fatti. Ed ho pure apprezzato cronisti giudiziari che, prima del pubblico dibattimento, citano gli indagati solo con le iniziali del loro nome e cognome!Tutto questo significa rispetto per gli altri e consapevolezza della propria appartenenza ad una collettività senza nome, ben più ampia di quella che ci sta immediatamente attorno e per la quale dobbiamo quotidianamente operare. E’ in fondo questo il senso sia di quanto Guido Galli scriveva nel ’57 al padre, spiegandogli che aveva scelto di fare il magistrato “per la soddisfazione di fare qualcosa per gli altri”, sia del messaggio che, pochi giorni prima della sua recente scomparsa, Pierluigi Vigna ha affidato al giovane figlio: la richiesta di ringraziare in chiesa, il giorno delle sue esequie, “i suoi due migliori amici, di nome “Cittadino” e “Nessuno”.Grazie per l’ospitalità

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