Il mondo con il fiato sospeso

A prescindere da come è finito il braccio di ferro tra il presidente Barack Obama e il Congresso americano a maggioranza repubblicana sull’innalzamento del tetto del debito pubblico (un accordo è stato alla fine raggiunto), il mondo ha capito in tutta la sua chiarezza che la prima potenza mondiale è sommersa dai debiti. E farà fatica a ripagarli.Non solo gli Usa: l’intero Occidente vive al di sopra delle proprie possibilità. C’è chi è poco indebitato (Germania), chi molto (Italia, Gran Bretagna, Francia, Belgio), chi moltissimo e non sa come farvi fronte: Grecia, Portogallo, Cipro, Irlanda e fors’anche la Spagna. Gli Stati Uniti hanno un colossale debito pubblico, che ha raggiunto l’astronomica cifra di 14.300 miliardi di dollari. E per legge non la può superare, se il Congresso non aumenta il tetto massimo. Si parla di ulteriori 2mila miliardi, da compensare con altrettanti tagli alla spesa pubblica.Ma il vero problema non è quella astronomica cifra, che in realtà è ancora più alta perché bisogna aggiungervi sia i debiti delle amministrazioni locali, sia quelli “congelati” in alcune agenzie pubbliche e relative al mondo immobiliare; sia infine ai debiti “privati”, quelli cioè in capo ai singoli americani, che non sanno nemmeno che cosa sia la parola “risparmio”. Stiamo parlando di un oceano di soldi chiesti in prestito a mezzo mondo per finanziare il consumismo americano. Soldi volentieri concessi a tassi pure bassi (si dice che la Cina detenga circa un quarto dei titoli di Stato a stelle e strisce) perché così gli spendaccioni oltreoceano fanno funzionare l’economia di buona parte del pianeta. Che a sua volta compra il made in Usa. Ma il circolo, come si può capire, è drogato; ed è andato in overdose con la crisi finanziaria del 2008.Per non pagare pegno e finire in una recessione epocale (e con moti di piazza), le economie occidentali si sono indebitate fino al collo: salvando banche, nazionalizzando aziende, finanziando i sistemi di welfare, o letteralmente stampando carta moneta in più, come hanno fatto gli Usa. Una mossa che al mondo possono fare solo gli Stati Uniti, forti della potenza che al dollaro è riconosciuta da tutto il mondo, e al Paese che lo emette.Peccato che questo colossale indebitamento, che ha salvato l’Occidente dal patatrac, non è poi riuscito a tirarci fuori dalle peste, e cioè a far innescare una ripresa economica. I consumi occidentali sono “intirizziti” e molto guardinghi; quelli cinesi o indiani ancora del tutto insufficienti per trainare l’economia mondiale. Insomma gli Usa non riescono a creare quella ricchezza aggiuntiva che permetterebbe loro di cominciare a rimborsare il debito. Nemmeno noi italiani ci riusciamo, e infatti ricorriamo a frequenti “manovre” che strizzano le tasche dei contribuenti, impoverendoli, per tenere a freno la colossale montagna del nostro debito pubblico.Nella stessa situazione si trova Obama. I suoi Democratici sarebbero più propensi ad alzare le tasse soprattutto ai più ricchi: cosa che suona però malissimo alle orecchie americane, abituati ad una tassazione ridicola rispetto a quella italiana. I Repubblicani dal canto loro propongono decisi tagli alla spesa pubblica: cioè alla sanità, alla previdenza, all’assistenza e via andare. Faranno un po’ l’uno, un po’ l’altro. Ma dovranno essere convincenti. Perché il problema vero non è quello di dichiarare un momentaneo default, cioè posporre il pagamento di qualche tranche di interessi sul debito pubblico o chiudere provvisoriamente gli uffici statali.Il vero problema, per gli Usa e poi a cascata per tutti noi, è quello di perdere la faccia. Il volto cioè della superpotenza inscalfibile, della garanzia ultima della finanza mondiale, della solvibilità sicura. Convincere quindi le agenzie di rating – quelle che giudicano anche la qualità dei debiti pubblici sovrani – che quello americano gode della massima fiducia, la tripla A, nonostante il suo colossale ammontare. Se la situazione cambiasse (in peggio), sarebbe una tragedia: l’Armageddon biblico più volte ventilato dallo stesso Obama. A cominciare dai grandi fondi pensione americani, che per statuto devono investire solo in titoli tripla A: s’innescherebbe un’ondata di vendite che travolgerebbe gli Usa, il dollaro e la sua credibilità e – due minuti dopo – l’euro e quindi noi. Il dollaro colerebbe a picco, i capitali in fuga si riverserebbero sull’euro facendolo schizzare a valori impossibili, uccidendo qualsivoglia tipo di esportazione di prodotti europei nel resto del mondo. Per il settore degli idrocarburi sarebbe un cataclisma (il petrolio si contratta in dollari); la Cina perderebbe in un sol colpo buona parte dei profitti accumulati in questi anni e investiti nel dollaro, cadendo anch’essa in recessione… Sarebbe una notte buia e senza prospettive per molto tempo, per tutta l’umanità. Non è catastrofismo ma la semplice fotografia della situazione; ed è incredibile che le èlites politiche italiane si accapiglino sugli arredi di due finti ministeri a Monza, sapendo perfettamente di camminare sull’orlo del burrone. Prima o poi i debiti vanno ripagati, altrimenti va in rovina o il debitore o il creditore. L’Occidente mantiene questo spettacolare standard di vita senza averne le risorse: cambiare rotta non sarà più solo questione di filosofia o etica, ma di sopravvivenza.

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