Il colosso Saipem si prepara a dire addio a San Donato

Gli uffici svuotati dallo smart working anticipano il trasloco nei palazzi di Santa Giulia a Milano

La notizia è arrivata, preceduta da rumors che si sono rincorsi per anni, alla vigilia di un evento - la pandemia che tuttora sovrasta ogni avvenimento - che ha scompigliato le carte ma non cambiato “la mano”: lo scorso febbraio, infatti, a far rumore prima dell’avvento “dell’era Covid” era stata la conferma che Saipem, una delle aziende-simbolo della città dell’Eni, avrebbe presto abbandonato San Donato, trasferendo i suoi uffici, e i 3mila o poco più dipendenti che vi ruotano attorno, dalle storiche sedi di via Martiri di Cefalonia ai futuribili edifici in costruzione nell’ultra-moderno quartiere Santa Giulia. Un trasloco di cui si parlava da tempo - fin dall’epoca delle proteste per i progetti di dismissione e separazione di rami d’azienda in “casa Eni” - e che dopo le conferme dell’accordo sulla locazione di uffici nei costruendi “SparkOne e SparkTwo”, sembrano assumere sempre più concretezza dando corpo ai timori espressi, a più voci, sul futuro degli imponenti complessi aziendali. Un futuro, dicono in molti a San Donato, «che già possiamo vedere»: l’uso sempre più massiccio dello smart-working, che ha semisvuotato le palazzine che si aprono su via Martiri di Cefalonia e su via De Gasperi, sembra infatti offrire una sorta di “anticipazione” di quello che in molti temono possa accadere, strutture abbandonate e strade deserte in una città che, dicono, «rischia di pagare a caro prezzo l’abbandono». Saipem è del resto parte integrante della città: nata nel 1956, la Società Italiana Perforazioni E Montaggio ha rappresentato una parte importante della galassia Eni, il colosso energetico la cui storia di espansione ha segnato, dal dopoguerra fino ai primi anni del nuovo millennio, la storia stessa di San Donato. Perdere Saipem «non può che preoccupare chi tiene al futuro stesso della città» dicono diversi residenti storici. Ed è lo stesso primo cittadino, Andrea Checchi, a non nascondere che, seppur la prospettiva di trasloco «non è immediata - spiega - dal momento che dalle notizie che abbiamo si parla di almeno due, forse tre anni, è certamente uno schiaffo alla nostra città, una perdita importante di quello che è un pezzo della nostra storia, le cui conseguenze non possono essere sottovalutate». Primo obiettivo, spiega così Checchi, è quello di «evitare di ritrovare sul nostro territorio palazzi abbandonati e vuoti. Sappiamo che la proprietà si sta già muovendo per scongiurare tale evenienza e il nostro intento è monitorare con attenzione ciò che accadrà». La proprietà, un fondo immobiliare privato «il cui interesse è chiaramente quello di trovare nuovi utilizzi», è al lavoro, anche se, ammettono in molti, «la situazione attuale, con la pandemia in corso, non offre certo rosee prospettive».

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