Homeless, il popolo dei 50mila

Il fermo immagine è desolante. Una città, che potremmo chiamare della “dignità perduta”. Abitata da 47 mila persone, uomini e donne. Tutti senza casa. Tabelle e numeri sono altrettanto desolanti. Traducono nel linguaggio della statistica tante storie intrise di povertà, di umanità sofferente e, appunto, di dignità perduta. Sono i numeri e le tabelle elaborati dall’Istat, frutto della prima “Ricerca sulla condizione dei senza dimora in Italia”, condotta insieme a Fiopsd (Federazione italiana organismi persone senza dimora), su mandato e grazie ai finanziamenti di Caritas Italiana e ministero delle politiche sociali.Un’indagine storica (attesa da decenni), accurata, metodologicamente destinata a fare scuola (non solo in Italia). Che fotografa il numero dei senza dimora in Italia, mettendo un punto fermo (47 mila persone, appunto) dopo anni di ipotesi più o meno realistiche.Il primo dato, dunque, è di per sé già sorprendente. Le persone senza dimora che, nei mesi di novembre e dicembre dello scorso anno, hanno utilizzato almeno un servizio di mensa o accoglienza notturna, in base alla rilevazione condotta in 158 comuni italiani (con approfondite interviste), sono stimate in 47.648. E poi c’è il profilo, degli homeless d’Italia. Sono per lo più uomini (86,9%), hanno meno di 45 anni (57,9%), nei due terzi dei casi hanno al massimo la licenza media inferiore e il 72,9% dichiara di vivere solo. La maggioranza è costituita da stranieri (59,4%) e le cittadinanze più diffuse sono la rumena (l’11,5%), la marocchina (9,1%) e la tunisina (5,7%).In media, le persone senza dimora riportano di trovarsi in tale condizione da 2,5 anni; quasi i due terzi (il 63,9%) prima di diventare senza dimora vivevano nella propria casa, mentre gli altri si suddividono pressoché equamente tra chi è passato per l’ospitalità di amici e parenti (15,8%) o chi ha vissuto in istituti, strutture di detenzione o case di cura (13,2%). Il 7,5% dichiara di non aver mai avuto una casa.Gli stranieri sono più giovani degli italiani (il 47,4% ha meno di 34 anni, contro l’11,3% degli italiani), hanno un titolo di studio più elevato (ha almeno la licenza media superiore il 40,8%, contro il 22,1% degli italiani) e sono da meno tempo nella condizione di senza dimora (il 17,7% lo è da almeno due anni, contro il 36,3% degli italiani). Più spesso vivono con altre persone (il 30%, contro il 21,8%), in particolare con amici (17,4%, contro 10,2%); solo il 20% era senza dimora prima di arrivare in Italia.C’è anche una lettura qualitativa dei numeri, forse ancora più significativa.Essa rivela (e conferma) come i senza dimora siano persone che non hanno scelto di vivere in strada, ma lo fanno per necessità. Costrette dalla perdita del lavoro o della casa, o ancora dalla fine di una relazione coniugale.La fotografia scattata dalla ricerca nazionale racconta dunque un mondo complesso, superando molti stereotipi. «Per la prima volta puntiamo l’attenzione su queste persone, per troppo tempo ignorate anche dalla ricerca statistica. Partiamo dai numeri per raccontarne le storie e la realtà di vita – ha affermato in occasione della presentazione Enrico Giovannini, presidente dell’Istat –. Parliamo di quasi 50 mila persone, la maggior parte stranieri, ma molti anche italiani, soprattutto giovani».Tornando ai dati, si scopre che più della metà delle persone senza dimora che usano servizi sociali e di assistenza vive nel nord (il 38,8% nel nord-ovest e il 19,7% nel nord-est), poco più di un quinto (il 22,8%) al centro e solo il 18,8% nel mezzogiorno (8,7% nel sud e 10,1% nelle Isole). La presenza è densa soprattutto nei grandi centri. Milano è la capitale dell’homelesness, con più di 13 mila persone senza dimora, seguita da Roma e Palermo. Sono d’altro canto le grandi città che offrono opportunità maggiori di aiuto (mense, dormitori, altri servizi) rispetto ai centri della provincia. Dove pure il fenomeno è ormai radicato.Significativo anche il dato relativo all’età media. Le persone senza dimora hanno in media 42,2 anni; circa un terzo (il 31,8%) ha meno di 35 anni e solo il 5,3% ha 65 anni o più. Gli stranieri sono più giovani degli italiani (36,9 anni contro 49,9 anni): quasi metà (46,5%) ha meno di 35 anni, mentre il 10,9% degli italiani ha più di 64 anni. Il fatto di essere più giovani si associa anche a titoli di studio mediamente più elevati: il 43,1% degli stranieri ha almeno un diploma di scuola media superiore.Il 28,3% delle persone senza dimora dichiara di lavorare; si tratta in gran parte di lavori a termine, poco sicuri o saltuari (24,5%), a bassa qualifica nel settore dei servizi (facchino, trasportatore, addetto al carico-scarico di merci o alla raccolta dei rifiuti, lavapiatti), nel settore dell’edilizia, in quello delle pulizie.Il 17,9% delle persone senza dimora, però, non ha alcuna fonte di reddito; il 9% riceve un reddito da pensione e l’8,7% un sussidio da ente pubblico; il 27,2% riferisce di ricevere dei soldi da parenti, amici o familiari e il 37% da estranei (colletta, associazioni di volontariato o altro).Il dato più significativo, sul versante qualitativo, è invece quello relativo alle cause del processo di emarginazione.La perdita di un lavoro si configura come uno degli eventi più rilevanti nel percorso di progressiva emarginazione che conduce alla condizione di senza dimora, insieme alla separazione dal coniuge o dai figli e, con un peso più contenuto, alle cattive condizioni di salute.Ben il 61,9% delle persone senza dimora ha infatti perso un lavoro stabile, il 59,5% si è separato da coniuge e figli e il 16,2% dichiara di stare male o molto male. Sono una minoranza, inoltre, coloro che non hanno vissuto o hanno vissuto uno solo di questi eventi, a conferma del fatto che l’essere senza dimora è il risultato di un processo multifattoriale.L’ultimo dato è relativo ai servizi. Nei dodici mesi precedenti l’intervista, oltre al servizio in cui sono stati intervistati, l’89,4% delle persone senza dimora ha utilizzato almeno una mensa, il 71,2% un centro di accoglienza notturna, il 63,1% un servizio di docce e igiene personale (più ridotto l’utilizzo di servizi di distribuzione di medicinali, accoglienza diurna, unità di strada).Alla presentazione della ricerca, a Roma, è intervenuta anche il sottosegretario Maria Cecilia Guerra: «Queste persone non sono così invisibili, li vediamo ma li guardiamo con occhi sbagliati: l’idea che dietro la loro condizione ci sia una scelta o una colpa mette in pace le nostre coscienze. Non si diventa senza dimora per caso, si tratta di percorsi in cui tutti potremmo incorrere, perché sono legati alla separazione del nucleo familiare o alla perdita del lavoro, alla rottura di un percorso integrato che ha conseguenze drammatiche.Rispetto a questo scenario, le nostre politiche sociali sono molto indietro e in difficoltà, ma stiamo studiando nuove prospettive, fondate su una presa in carico delle persone che tenga conto della complessità delle loro storie. Di certo non ci si può limitare ai trasferimenti monetari, ma bisogna accompagnare le persone in difficoltà attraverso l’inserimento abitativo, lavorativo e l’inclusione sociale».

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