Garantisce più il premio o il consenso?

In politica non c’è nulla che possa surrogare… la politica. Nel remoto 1952, i partiti della maggioranza di allora (Dc, Psdi, Pri e Pli) immaginarono che per consolidare il loro potere servisse una modifica del sistema elettorale. Così ne escogitarono uno nuovo, che superava l’impianto proporzionale vigente dalla costituente e introduceva il premio di maggioranza. Ma al voto il quorum non fu raggiunto dalla coalizione governativa. E così si dovette convivere con il vecchio ordinamento, dove ogni partito faceva parte a sé e contrattava con gli altri le migliori condizioni. Fanfani li definì i «cinque anni difficili ma non sterili»: tra le forze politiche si aprì una ricerca per realizzare la cosiddetta “apertura a sinistra”, ossia un rapporto di collaborazione tra Dc e socialismo di Nenni. Nella legislatura successiva (1958-63) si aprì, faticosamente, il ciclo del centrosinistra, con intenzioni riformatrici e aperture verso il mondo del lavoro e i sindacati.Si andò avanti, senza una maggioranza garantita per legge, fino al 1968, in uno scenario che oggi appare affascinante: quello di una democrazia che si prefiggeva di governare l’economia senza collettivizzarla, ma qualificandone la direzione a favore dei meno garantiti; e ciò attraverso una programmazione addirittura stabilita per legge e munita di un largo consenso delle forze sociali. Poi i governi a guida democristiana e sostenuti dai socialisti incontrarono crescenti difficoltà. E la situazione si aggravò con l’ingresso in scena del terrorismo, prima nero e poi rosso.Ma pure nelle convulsioni di quel periodo soltanto pochi reclamarono un mutamento delle regole del voto. La linea egemone (Moro e Berlinguer) aveva un obiettivo: raggiungere, con una nuova solidarietà nazionale, un equilibrio politico-programmatico meglio rispondente alle esigenze di sviluppo e di solidarietà; e si pensava che ciò potesse avvenire se le maggiori formazioni politiche avessero posposto l’esigenza di prender voti a quella di concorrere al disegno comune. Il rapimento e l’assassinio di Moro troncarono sanguinosamente questo processo.È a questo punto (Craxi e Cossiga) che riprende quota l’idea di sussidiare la ricerca politica con una riforma elettorale che garantisca piena agibilità al vincitore. Rafforzare il potere esecutivo rispetto al legislativo, cioè il governo rispetto al parlamento. La modifica del meccanismo elettorale avvenne gradualmente, dapprima per via referendaria, intaccando l’architrave della preferenze plurime, poi (dopo tangentopoli) escogitando il “Mattarellum” (collegi uninominali più quota proporzionale), che ha consentito una certa alternanza al governo e ha prefigurato il bipolarismo che molti auspicavano.Non era però soltanto una correzione tecnica. Era un cambio di cultura. La politica cessava di esprimersi nella ricerca delle condizioni di consenso per la realizzazione di un disegno condiviso, e sempre più si esauriva nel perseguimento di una superiorità numerica, il cui passo successivo, inevitabile, era la sublimazione della leadership carismatica.Ma l’esperienza ha dimostrato che avere i numeri non risolve i problemi. Le coalizioni onnicomprensive si sono rivelate esposte a tutti i venti e anche le leadership più robuste hanno conosciuto il limite della fragilità. Uniti al voto, ma divisi nel governo. A destra come a sinistra. Un rischio garantito, che neppure lo smodato premio di maggioranza del “porcellum” ha potuto rimuovere.Né è detto che la concessione del premio al partito anziché alla coalizione (come previsto dall’Italicum di Renzi) sia in grado di eliminare il rischio di fratture post-elettorali: divisioni e lacerazioni possono manifestarsi anche all’interno di un partito maggioritario a forte impianto disciplinare.Le formazioni più grosse non sono mai del tutto unite. Né il ricorso continuo al metodo della conta garantisce, di per sé, l’integrità dell’attuazione dei programmi. Quel che conta, in politica, è sempre, indefettibilmente, la costruzione del consenso. Che si realizza solo con la pazienza della persuasione.

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