El sìngul, el guìndul e Pepa

Un tratto caratteristico e anche dimenticato della sapienza rinchiusa nell’umiltà dei proverbi in dialetto, è il fatto di evocare, da parte loro e in tono linguisticamente e concettualmente sommesso, verità e pensieri noti per la loro presenza, in altre forme, nei testi delle più importanti letterature. Mi si delinea questa convinzione leggendo la sentenza in cui si ricorda che: «la dona in da per lé l’é un guìndul / ma l’om in de per lü l’é un ssìngul». Emerge da questa visione l’ideale di un nobile e proficuo vincolo nei rapporti – spesso invece assai tempestosi – fra i rappresentanti delle due parti in cui è diviso il mondo, destinati a una complementarità di affetti e di aiuti con cui superare le difficoltà del terreste viaggio, così da non finire senza risorse e smarriti. Stando al proverbio, l’uomo si ritroverebbe, così, liberato dalla sua tendenza al vagare in disordine, mentre la donna riuscirebbe a concentrare le sue possibilità affettive, senza perdersi nello spettegolare e nell’instabilità. Mi sembra non improprio rilevare, a questo punto, che la stessa impostazione sta alla base del racconto biblico sulla creazione dell’uomo e della donna, visti dall’Onnipotente come sede di un possibile mirabile incontro di affetti e di vicendevole aiuto. Anzi, per essere precisi, il testo biblico parla di «aiuto simile», ove, se non erro, s’intende dire che il soccorso è destinato a funzionare con esiti analoghi, correggendo, cioè, le grinze che ci sono nell’una e nell’altra delle due creature, destinate a dare e a ricevere per non smarrirsi in labirinti e in anfratti. Il nostro proverbio dialettale traduce, dunque, in un testo che ha ritmi, assonanze e rimandi ad aspetti concreti della realtà e del vissuto, quanto ci insegna la Parola divina sull’opera del Creatore, intento a dar vita a speciali creature fatte a sua immagine e somiglianza, ma diverse e destinate ad essere complementari in un rapporto di vicendevole aiuto ed affetto.Mi sento tuttavia, a questo punto, di notare che tutto ciò non va disgiunto da un dato che mi sembra tipico della nostra lodigianità. Noi amiamo i grandi valori e abbiamo ideali a cui riferirci, ma, per lodevole e radicato timore di cadere nella retorica o nella falsità, torniamo subito al concreto e al reale, cioè alle cose così come sono. Il proverbio citato è un eccellente esempio di questo modo di vedere le cose, evocate sì nello sfondo di grandi ideali, partendo, però, dalle concrete situazioni (sìngul / guìndul) di ciò che accade quando questi valori vengono a mancare. Per un altro caso di approdo alla lodigianità di proverbi nobili per nascita, cito il notissimo «Bacco, tabacco, Venere / riducono l’uomo in cenere». I grandi paludamenti mitologici diventano, però, superflui da noi, e lo stesso pensiero prende vita in un detto che sembra dover essere pronunciato con aria sorniona, nel rincorrersi della lettera p: «Poca papa, poca pipa, poca Pepa». Come si vede, le divinità del mito sono scomparse. L’influsso bacchico è ricondotto al cibo in genere, per consigliarne un uso prudente e sobrio. Del tabacco si conosce soprattutto la prassi, un tempo assai diffusa, di gustarlo nella pipa, a cui, specialmente gli anziani, non rinunciavano, pur senza eccedere, come, del resto, il proverbio consiglia di fare. Più sconvolgente è la riduzione ai minimi termini della maestà di Venere, la divinità accecante e fatale dalla cui forza i mortali sono spesso travolti. La potenza di Afrodite, evocata nella tragedia e nell’epica soprattutto del mondo greco, è qui rappresentata da una modestissima Pepa. Anche in questo ambito, ovviamente, sono raccomandate la sobrietà e la saggezza, ma è arduo vedere quanto potrebbe esserci di irresistibile e di fatale nell’eterno femminino impersonato nella Pepa del nostro proverbio. Tante altre sentenze della nostra antica saggezza recano il segno di questo «disliricarsi», per usare, con adattamenti, un vocabolo caro al Manzoni. Esemplare, al proposito, mi sembra l’esclamazione: «A fa el galantòm / sse tira el caretòn». Era ben lungi dai nostri onestissimi padri l’intento di spingere alla disonestà o all’apologia di reati. Per loro era chiarissimo che occorre assolutamente essere onesti, ma senza coltivare illusioni. La fatica sarà sempre necessaria e alla fortuna troppo propizia è meglio non pensare. Anzi, col tragico diffondersi della disoccupazione, oggi sembrano diminuite persino le possibilità «de tirà el caretòn».

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