Davvero nulla sarà più come prima

Dopo lo spread, la spending review: il linguaggio finanziario e manageriale è ormai entrato nella vita e nei comportamenti quotidiani. E ci avverte che nulla sarà più come nel XX secolo, durante e dopo questa crisi e la ristrutturazione che inevitabilmente ne consegue. Sostenibilità ed efficienza alla compagine pubblica, devono poggiare su basi solide. Le tasse prima e oggi i tagli sono necessari per fronteggiare l’emergenza, ma, proprio per non produrre stress sociale e impoverimento collettivo, devono essere accompagnati da una prospettiva. Serve trovare senso di comunità, attraverso la distribuzione equa dei carichi.

Sembra però chiaro che è finita un’era di certezze. Siamo ritornati a cent’anni fa, ai tempi evocati nella famosa autobiografia di Stefen Zweig “Die Welt von Gestern. Erinnerungen eines Europäers” (“Il mondo di ieri. Ricordi di un europeo”), quando ricordava la Vienna della bella époque, die welt der Sicherheit, un mondo di sicurezze, di certezze politiche, culturali, di comportamenti collettivi e di stili di vita, traumaticamente concluso con la Grande Guerra e poi, anche nei Paesi vincitori, con la Grande Crisi.

In realtà non è questo il solo modo, romanticamente decadente, per guardare ai nostri anni di cambiamento.

C’è anche quello, pure consunto da troppa retorica, sull’innovazione, che poggi su un tessuto condiviso e convinto di stili di vita, valori, riferimenti.

Che non è appunto una retorica giovanilistica, quei giovani coccolati e negati di cui tanto si parla, ma è in sostanza un appello al lavoro, serio e creativo insieme.

Ridurre gli sprechi, i favoritismi, le passività, significa, se si vuole procedere e non condannarsi alla decadenza, creare condizioni per lavorare tutti, per lavorare meglio, per darsi da fare e dare prospettive.

Giustamente il presidente del Consiglio ha anche di recente sottolineato i limiti temporali del mandato al governo, ma anche la sostanza del mandato stesso. Bisogna fare quadrare i fondamentali e farlo bene.

E ciò non preclude, ma anzi implica, un ruolo attivo della politica.

È evidente che, in particolare se si arriverà a nuove regole elettorali, l’offerta si riarticoli.

È la politica, mentre ancora lavorano i tecnici, a doversi spendere per far sì che la stagione che si va sviluppando sulla linea della famosa lettera della Bce all’Italia di un anno fa, sia quella che porta all’innovazione dei processi e al rilancio del senso di comunità e di corresponsabilità.

Siamo sul filo sottile che divide lo stress e la nevrosi collettiva, soprattutto di quello che anticamente si chiamava ceto-medio ed ora non ha più nome ed identità, dal movimento comune di rilancio.

Non lo si sprechi guardando solo agli interessi a breve. E come sempre l’esempio deve venire dal vertice.

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