Carceri, condizione disumana

Il degrado delle carceri italiane è tale da «rendere ancora più amara la detenzione», considerati il valore rieducativo attribuito alla pena dall’articolo 27 della Costituzione e il rispetto che si deve alla dignità di ogni persona, a prescindere dalla sua condizione e dal suo agito. Sono parole di Benedetto XVI, in visita alla Casa di reclusione di Rebibbia il 18 dicembre scorso, due giorni dopo l’approvazione da parte del Consiglio dei Ministri di un pacchetto di misure urgenti in risposta allo stato di emergenza in cui versa il sistema penitenziario italiano. È il primo provvedimento di natura non economica assunto dal nuovo governo: «il sovraffollamento è il primo dei miei pensieri», ha dichiarato Paola Severino, ministro della Giustizia, che non ha escluso la possibilità di ricorrere ad amnistia e indulto, «strumenti utili per alleviare l’affollamento nelle carceri».Nei giorni immediatamente successivi, i media hanno forzato la natura del decreto, di alleggerimento di una situazione penitenziaria ormai ingestibile, denominandolo impropriamente «svuota carceri». Come noto, a fronte di una capienza regolamentare di meno di 45mila posti, in Italia si contano oltre 68mila detenuti (di questi, 28mila sono in attesa di giudizio e 44mila scontano una pena o un residuo di pena inferiore a tre anni – fonte: Antigone). La nuova norma consentirà di scarcerare circa 3.300 persone nel 2012: le prigioni italiane saranno perciò soltanto un poco meno affollate di quanto non lo siano ora. Un primo piccolo passo, comunque significativo.La misura di alleggerimento sarà resa possibile portando da 12 a 18 mesi la pena residua da poter scontare in detenzione domiciliare ed evitando la traduzione in carcere agli arrestati in flagranza di reato, i quali saranno trattenuti nelle celle di sicurezza dei posti di polizia in attesa del processo per direttissima, che dovrà essere celebrato entro 48 ore (sono ben 21mila in un anno le persone ristrette in carcere per pochi giorni). Tra i provvedimenti previsti, vi sono poi la detenzione domiciliare in prova, i lavori socialmente utili per pene fino a 4 anni, la depenalizzazione dei reati irrisori, un disegno di legge per trasformare in illecito amministrativo i reati che prevedono la sola pena pecuniaria (con esclusione di quelli in materia di edilizia e ambiente, immigrazione, alimenti e bevande, salute e sicurezza nei luoghi di lavoro, sicurezza pubblica), norme per rendere più veloce il processo civile e per revisionare le circoscrizioni dei giudici di pace. Altri piccoli passi, di cui occorre non sottovalutare l’importanza: d’altra parte, e per definizione, sul terreno dell’esecuzione penale il passo non può essere che di formica…Di contro, in negativo, nessun passo indietro in materia di edilizia carceraria e nessuna prospettiva di abolizione o revisione di leggi criminogene tutte italiane: il nostro è infatti il paese che conta il maggior numero di persone ristrette per violazione della legge sulle droghe e di migranti criminalizzati in ragione del loro status, ed è anche il paese che colpisce con maggiore durezza la recidiva.Riguardo alla detenzione domiciliare, una precisazione è doverosa: si tratta comunque di detenzione, ovvero di privazione della libertà. Che è indubbiamente preferibile scontare nella propria abitazione (se questo è possibile), o all’interno di una casa di accoglienza, piuttosto che in uno spazio di pochi metri quadrati, condiviso con altri cinque o sei “concellini”, dove si mangia, si orina, si vive; tuttavia le restrizioni della detenzione domiciliare sono reali e comportano difficoltà di ordine pratico e psicologico che non possono essere taciute. Per questo è auspicabile che l’impegno civile di singoli e associazioni si traduca in un supporto concreto alle persone in detenzione domiciliare, ristrette per quanto fisicamente fuori dal carcere: il reinserimento, ovvero la finalità prima della pena, non può infatti prescindere dalle dimensioni dell’affettività e della socialità e, soprattutto, dall’opportunità del lavoro.Il lavoro rappresenta un’opportunità straordinaria, di cui tuttavia è arduo parlare in tempo di crisi economica. Ma non parlarne è impossibile, e non solo perché la nostra Repubblica è fondata sul lavoro. Il nuovo ordine economico e sociale, a livello planetario, esclude ferocemente dal benessere e dalla stessa possibilità di sopravvivenza la «zona sociale carceraria» (così definita da Vincenzo Ruggiero), ovvero devianti ed emarginati, materiale di risulta ormai ingrossato da senza casa ed ex detenuti, migranti e inoccupati, giovani precari e pensionati sociali. L’opportunità del lavoro si traduce – è evidente - in sicurezza sociale: incoraggiata dalla corresponsione di contributi alle cooperative e alle imprese che assumono persone detenute (dentro e fuori dal carcere), la misura alternativa del lavoro non può che essere incrementata da una politica lungimirante e accorta. Come noto, chi usufruisce delle misure alternative alla detenzione cade nella recidiva assai meno di chi sconta interamente la pena in carcere (22% contro 69% - fonte: A Buon Diritto). Il recente stanziamento di 48mila euro per il territorio lodigiano da parte della Regione Lombardia va in questa direzione: consentire la prosecuzione di progetti finalizzati al reinserimento lavorativo delle persone in esecuzione penale, il “Lavoro debole” per primo. Un piccolo passo anche questo, ma anche questo significativo.Il 2011 è stato un “annus horribilis” per le carceri italiane: 66 suicidi di detenuti (e 5 di agenti di polizia penitenziaria), circa 1.000 tentati suicidi e 5.400 atti di autolesionismo grave. Complessivamente 186 morti in carcere, morti di carcere, la cui età media non tocca i 40 anni (fonte: Ristretti Orizzonti). E il 2012 si apre con la morte di un internato in un Ospedale Psichiatrico Giudiziario, strutture (sei in Italia) che rappresentano «una vergogna per un paese appena civile», secondo le parole di Giorgio Napolitano. Eppure un piccolo passo nella direzione della giustizia è annunciato anche a questo riguardo: la chiusura degli OPG potrebbe infatti essere inserita nel decreto sulle carceri sottoposto all’esame del Parlamento in questi giorni, e, dunque, avvenire in tempi assai rapidi.Il sistema penitenziario italiano è ancora in stato di «emergenza» - come ha dichiarato il presidente della Repubblica nel suo intervento di fine anno – considerata «la condizione disumana delle carceri e dei carcerati». L’emergenza, tuttavia, può essere superata. A piccoli passi.

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