Bobi Bazlen, l’ombra (triestina) degli scrittori

A grandi attese sopraggiungono perlopiù grandi delusioni o tutt’al più molti interrogativi. E proprio molte domande suscita Bobi Bazlen. L’ombra di Trieste di Cristina Battocletti, uscito il primo settembre scorso per La nave di Teseo, dopo essere stato varato dalla Bompiani, molto prima dei nuovi assetti editoriali nati dalla fusione Rizzoli-Mondadori che ne hanno mutato la rotta finale. Tali notazioni servono a indirizzare il lettore smaliziato verso le possibili risposte che la lettura di questa biografia pone innanzitutto a partire da alcuni vuoti documentali, soprattutto nella testimonianza di chi l’ha conosciuto veramente e in un certo senso è stato guidato nel percorso editoriale che ha consentito all’Adelphi, forse il capolavoro di Bazlen (e di Luciano Foà), di diventare ciò che è. E si sta parlando di Roberto Calasso. Proprio in quest’impasse, molto bazleniana (se è permesso il termine), sembra muoversi la scrittura della Battocletti: rapida, nervosa, per certi versi “british” sia nella sobrietà nella descrizione dei tic di un’intera società letteraria sia nel dispiegare temporalmente e per temi, personaggi, città, la vita “avventurosa” del più enigmatico degli intellettuali del ’900 italiano ed europeo: per l’appunto Bobi Bazlen. Ma chi era Bobi Bazlen? Di lui si conosce molto, ma si sa poco. Si conoscono gli Scritti, raccolti molti anni dopo la sua morte, avvenuta nel 1965, dall’Adelphi e introdotti proprio dal suo “allievo” più promettente, Calasso, divisi in un romanzo incompiuto, le celebri note senza testo, perlopiù lettere editoriali e il carteggio con Eugenio Montale. Si conosce il talento di sublime lettore e scopritore di Svevo, Kafka e di molti altri, e di fiancheggiatore del migliore milieu intellettuale della Trieste post-asburgica, ma anche della Milano della ricostruzione e della Roma sbarazzina degli anni ’60. Mentre si sa poco della sua vita, nonostante negli ultimi tempi - e l’ampio corredo bibliografico che chiude il libro lo testimonia - tesi, studi, articoli, carteggi anche inediti, ma messi a disposizione della Battocletti, ne illuminino molto di più la figura. Ma l’enigma resta e l’autrice sa come cavalcarlo ed è ciò che più avvince il lettore. Nato all’alba del XX secolo, presto orfano di padre, cresciuto in un ambiente prevalentemente femminile e iperprotettivo, inetto ai lavori, portato esclusivamente alla lettura e a un’incessante curiosità intellettuale, sgraziato fisicamente e malaticcio, ma instancabile camminatore e viaggiatore dalla variopinta vita amorosa (il non flirt con Gerti o il libero rapporto con la Blumethal sono le due facce della medesima medaglia), Bazlen dissiperà patrimonio e amicizie in un sottile gioco di seduzioni e pettegolezzi che alimenteranno la sua leggenda terrena. Altrettanto note erano le predilezioni per le religioni orientali, per la psicanalisi, prima freudiana e poi junghiana – qui le frequentazione vanno dal concittadino Edoardo Weiss (e il malamore per Trieste sarà costante come per gli amici di una vita, Saba, la figlia Linuccia, Svevo e i parenti e poi Quarantotti Gambini, sopratutto quando si sposterà a Venezia) e al “guru” Bernhard – l’astrologia e gli oroscopi erano più di vaticini. Sordo alla musica (ciò forse gli impedì di raggiungere le squisitezze critiche di un Debenedetti), ma profondo ascoltatore di quelle risonanze che determinano la riuscita di un romanzo, restò preda per troppa passione di una consapevole incapacità di creare nuova materia narrativa. Su quest’ascolto e sul ruolo di suggeritore costruì la sua carriera di scrittore di libri altrui.

Cristina BattoclettiBobi Bazlen. L’ombra di TriesteLa nave di Teseo, Milano 2017 pp. 392, 19,50 euro

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