Lodigiano, a mancare sono le proposte

Pur non addentrandomi nelle ragioni storiche della nostra autonomia, è innegabile che l’identità territoriale e la sua coesione istituzionale, hanno avuto nel percorso di avvicinamento e nella costituzione della Provincia di Lodi un elemento di sintesi e di un’azione territoriale che ci ha portato sino ad oggi: assicurando una dimensione locale alle amministrazioni del territorio, che hanno poi progressivamente individuato i motivi per lavorare tutte insieme.

Un processo che dovrebbe aver sedimentato e rinsaldato elementi di comunità, in grado anche di superare il complicato e non sempre coerente sviluppo della riforma delle Province, tanto più che adesso è rimasto a metà del guado a seguito dell’esito referendario. La situazione di un territorio come il nostro, piccolo nelle dimensioni complessive e ancor di più nelle dimensioni specifiche di ogni singolo Comune, non si gioca su chi comanda o comanderà nel Lodigiano, ma su chi e come saprà farsi guida ed interprete sia delle esigenze dei Lodigiani sia di tutto ciò che porti il territorio ad un dialogo fecondo con la modernità di altri contesti.

Non è sufficiente, infatti, né per la classe politica né per quella imprenditoriale e per lo stesso tessuto sociale, evocare le necessità del Lodigiano. Accanto all’emergere del bisogno e all’analisi dello stesso, quel che spesso manca è la declinazione o semplicemente la proposta per farvi fronte.

La fase istituzionale a livello Provinciale, com’è noto, è complicata, ma anche alle difficoltà estreme ci si abitua ed è quindi giunto il momento di aprire una fase nuova, dimostrare che il territorio c’è e può mettere in campo idee per il proprio futuro; non limitandosi quindi ad una lettura di sè stesso in chiave manichea (o è tutto bianco o è tutto nero) ma declinando i dati di fatto in prospettive e sostegno.

Credo sia pertanto giunto il momento di aprire un dibattito serio su alcuni temi. Ne suggerisco alcuni.

Parto dal lavoro. I dati che vengono pubblicizzati dalla Camera di Commercio, dal Centro per l’impiego provinciale e da altri organismi accreditati, sembrano rappresentare un Lodigiano capace di risalire l’onda d’urto causata dalla crisi economica. Eppure la fame di lavoro è altissima. Cosa fare? Come attirare imprese? Come sostenere il recupero delle aree dismesse e come governare gli insediamenti che vedono nella posizione geografica del territorio l’occasione per stabilizzare il proprio lavoro? Rimango dell’idea che, fatte tutte le opportune valutazioni, sia sul livello di saturazione sia sull’impatto viabilistico, i caselli autostradali siano poli produttivi. Definire intese su tali versanti, che mettano insieme costi e benefici di più Comuni, possa essere un modo per governare gli insediamenti e salvaguardare il territorio. Ognuno rinuncia a qualcosa per una gestione comune. Sono decisioni che passano dai Pgt, dall’adeguamento del Ptcp e dalla declinazione che verrà data alle norme del Ptr, dalla costituzione di processi di accompagnamento a sgravi fiscali, dalla proposta di sinergie tra due o più aziende locali.

La costituzione dell’Agenzia Milano, Monza, Pavia, Lodi, apre molti interrogativi per la copertura del trasporto pubblico locale. Tema prioritario, che occorre quindi presidiare in Regione con la massima attenzione, affinché l’esiguità del nostro bacino rispetto a quello dei nostri partner non si traduca in una riduzione dei servizi a scapito dei soggetti più deboli. E’ evidente che tale presidio debba essere costante anche per quanto concerne il trasporto su ferro.

Innovazione e Ricerca. Parco Tecnologico Padano e Università dovranno essere un tutt’uno. Chi transita per la nostra tangenziale sicuramente noterà i notevolissimi e rapidi lavori di costruzione del Polo Universitario dove, tra pochi mesi, si trasferirà la facoltà di veterinaria; proprio la contiguità tra il Parco Tecnologico e l’Università, rappresenterà in tutto e per tutto ciò che vogliamo intendere quando immaginiamo di voler essere realmente attrattivi per i ricercatori e per il capitale umano, soprattutto nazionale.

Aggregazioni tra Comuni. Tra gestioni associate e fusioni, la seconda appare quella maggiormente in grado di dare più respiro all’attività dei Comuni. È una scelta non semplice, ma sulla quale, come per il caso del Comune di Cavacurta e Camairago, la Provincia non farà mancare il proprio sostegno. Tra gli strumenti della Provincia, accanto alla Cuc, ricordo la possibilità dell’assistenza tecnica ai Comuni, anche per studiare e accompagnare tali processi decisionali. Occorre poi decidere su Azienda Speciale Consortile e Sogir, ma l’invito che mi sento di fare e di avanzare proposte e non di gettare via il bambino insieme all’acqua sporca.

Turismo e Prodotti. Il mutare delle norme regionali sul turismo, che sposta competenze di promozione sui Comuni, può essere supportato dall’esperienza pregressa maturata in Provincia, al fine di riprendere le fila di un rapporto tra territorio e produzione locale che presenta sempre eccellenze sulle quali investire positivamente. Un luogo quindi esiste e verrà offerto ai protagonisti locali per meglio coordinare gli interventi.

In ultimo, pur non essendo una provocazione, mi piacerebbe che fossimo in grado, tutti insieme, di rilanciare quei valori, quella capacità di accogliere, che è stata la prima virtù di una grande lodigiana, Santa Madre Cabrini, che con umiltà si mise cento anni e più fa al servizio degli ultimi, creando un sistema di opere e missioni che hanno fatto conoscere nel mondo lo spirito religioso e l’umanità del Lodigiano. Come talvolta accade nel passato si possono scorgere le tracce del nostro futuro. Faccio un esempio molto semplice e attuale: riguarda l’accoglienza dei profughi, che com’è noto si svolge in due fasi. Prima accoglienza: per verifica requisiti di rifugiato (garantito dalle norme internazionali). Seconda accoglienza (per gli addetti ai lavori: SPRAR): per chi ha visto riconosciuto il proprio diritto. Nel Lodigiano, dove gli Sprar si contano sulle dita di una mano, sono ospitati circa 1000 richiedenti asilo. Se tutti avessimo attivato uno Sprar (per la prima volta prevista dalla Legge Bossi/Fini), le persone ospitate sarebbero al massimo 575. Non è una questione di numeri, sarebbe la risposta a chi seriamente intende affrontare un fenomeno che da vent’anni viene definito strutturale.

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