La vera chiave per aprire tutte le porte

DOLÌ /7 La rubrica a cura di Francesca Fornaroli

Dolì

La figura dagli occhi verdi lo abbracciò forte. Leonardo rimase immobile, ma in quel gesto sentì tutto: il calore, l’accoglienza, la tenerezza che si offre solo ai figli o ai nipoti tornati dopo tanto tempo. Poi quell’uomo, che era arrivato travestito da Babbo Natale, suo zio, emise con voce profonda: «Benvenuto a casa, Leandro. Ti aspettavamo da tempo». Quel nome lo colpì. Lo ripeté mentalmente, una, due, tre volte. Non era quello sui suoi documenti. Non era il nome con cui lo chiamavano a scuola o tra gli amici. Eppure era il suo. Era lui. Un mormorio si sollevò tra i commensali, mentre il vento faceva ondeggiare le luci sopra il pergolato. «Sei nato qui tu - disse un’anziana donna con un fazzoletto ricamato in testa - : a Olhão, una notte d’estate. Ti chiamarono Leandro, come il nonno». Il giardino intorno vibrava avvolto dalla luce calda del tramonto. La porta da cui era entrato si era dissolta. Non c’era più una soglia. Era dentro nel ricordo, ormai già da tempo. Cominciò a camminare, spingendosi oltre il tavolo, superando il pergolato. Davanti a lui si apriva un piccolo sentiero tra gli ulivi. In fondo, un muro di pietra bianca e, oltre quello, il mare. Quando si voltò, vide che lo zio lo seguiva. «Volevamo dirtelo da tanto» disse. «E perché ora?» chiese Leandro. «Perché ora sei pronto. Le porte si aprono solo quando il cuore è disposto ad attraversarle». Piano piano il ricordo svanì, tutto divenne più offuscato e lui fu di nuovo catapultato in piazza della Vittoria, questa volta era la grande porta del Duomo di Lodi ad attenderlo.

Francesca Fornaroli

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