La “regina delle vie” resta un mistero irrisolto

A Roma si sono interrotti gli scavi su un’antica via romana che forse era l’inizio della antica via Appia

Pochi giorni fa, il più importante giornale del mondo (l’americano New York Times) ha scritto un articolo sull’Italia per parlare di una storia sepolta, quella della antica via Appia. Sepolta perché i resti di questa strada degli antichi romani, che chiamavano “regina delle vie”, si può vedere e percorrere (una bella passeggiata) nei dintorni di Roma, ma in gran parte è ormai sepolta sottoterra. La scorsa estate, un gruppo di archeologi ha iniziato a scavare cercando, otto metri sotto le nuove strade, l’inizio di questa via, per tracciare una mappa di come si presentava anticamente la capitale.

Scavando nella terra e nella storia, hanno trovato moltissime cose, ma non ancora una risposta. Lì vicino, infatti, c’era anche una strada chiamata “Via Nova” (costruita dall’imperatore Settimio Severo), e non si è riusciti a capire se i reperti appartenessero all’una o all’altra (o se la Via Nova fosse semplicemente un ampliamento della Appia). Nessuna risposta perché l’acqua della falda ha di fatto allagato lo scavo e ha reso impossibile continuare i lavori (che sono tutti raccontati su questa pagina Facebook: https://www.facebook.com/search/top?q=open-appia%20regina%20viarum).

Ecco, però, cosa hanno scritto gli archeologi, mentre guardavano le ruspe ricoprire gli scavi: «Forse la cosa più bella di tutte è che in questo scavo è nato un team pazzesco, formato da archeologi dell’Università, funzionari e collaboratori della Soprintendenza, tecnici ed operai della ditta. Non c’è stato un momento in cui abbiamo titubato sull’essere solidali. Abbiamo sempre scelto il dialogo e mai lo scontro. Siamo fieri di questa esperienza, perché è stata fatta con e per voi, che ancora ci sostenete e apprezzate».

Ora, i reperti sono stati ricoperti, per il motivo spiegato dagli stessi archeologi: «Non abbiamo modo, al momento, di tenere tutto aperto. Anzi, lasciare tutte le favolose strutture che abbiamo riportato in luce alla luce del sole significa lasciarle morire e distruggere. Se non si può, o non è il momento, di valorizzarle con un percorso espositivo, meglio interrare».

Comincia però la Fase 3: quella dello studio della documentazione raccolta, che non smetterà di offrire sorprese.

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