Ucciso a 9 anni, il caso non è chiuso

Chiesto un nuovo processo per il caso Barakat

Il caso Barakat non è chiuso. Sette mesi dopo l’assoluzione dei tre imputati dall’accusa di “concorso omissivo colposo” nell’omicidio del piccolo Federico Barakat, ucciso dal padre il 25 febbraio del 2009 nel centro socio sanitario di via Sergnano a San Donato, ieri la procura generale di Milano ha presentato ricorso in appello contestando la sentenza di primo grado. Nei prossimi mesi si terrà quindi un nuovo processo nei confronti dell’educatore (S.P.) e delle due assistenti sociali (N.C. e E.T.) del Comune di San Donato, accusati dalla madre del piccolo Federico (nove anni appena al momento della tragica morte) di non aver fatto abbastanza per tutelare il figlio da un pericolo che a suo avviso era “incombente”. «Il loro obbligo era essere presenti e non lo hanno adempiuto» ha scritto il procuratore generale Laura Bertolè Viale nell’atto con cui ha presentato appello. Secondo lei non sarebbero state prese in considerazione le dichiarazioni rese da alcuni testimoni da cui sarebbe emersa la paura manifestata in più occasioni dalla madre del piccolo. «Non occorre essere profondi conoscitori del mondo islamico - aggiunge il pg - per sapere che la paternità è in quel mondo considerata quasi come esclusiva proprietà del figlio da parte del padre, specie se maschio». Gli imputati, quindi, avrebbero dovuto garantire che gli incontri fra padre e figlio fossero sorvegliati e svolti in completa sicurezza, anche con la loro presenza, «ma non l’hanno fatto». «Il nesso di causalità tra la loro assenza e la tragedia che ne è scaturita non richiede altra argomentazione». Parole dure, le stesse che da mesi vanno ripetendo la mamma del piccolo Federico, Antonella Penati, e il suo avvocato Federico Sinicato di Milano.

Il bambino era stato assassinato dal padre Mohammed, di 52 anni (che poi si è tolto la vita), con un colpo di pistola e 37 coltellate, poco prima di uno degli incontri protetti fra i due disposti dal tribunale dei minori. La procura di Milano aveva chiesto l’archiviazione per i tre dipendenti dei servizi sociali citati in giudizio dalla madre, ma il gip Luerti si era opposto a questa richiesta e aveva imposto il processo giudicando “provabile” la responsabilità dei tre. Ma nel processo di primo grado, svolto con rito abbreviato, il giudice, avendo davanti le stesse carte e le stesse prove del gip, aveva pronunciato sentenza di assoluzione. Ora c’è un nuovo colpo di scena. La data del processo, presso la quinta sezione della corte di appello di Milano, non è ancora stata fissata, ma si terrà ancora con rito abbreviato quindi senza sentire altri testimoni e tutto si risolverà nel giro di pochissime udienze.

«Noi non ci siamo accontentati dell’assoluzione - spiega l’avvocato Sinicato -, ma nemmeno la procura generale, che evidentemente ha ritenuto che il giudice non abbia applicato correttamente le norme rispetto a fatti che appaiono colpevolizzanti. I fatti sono quelli, i documenti gli stessi valutati anche dagli altri giudici, il problema è la loro interpretazione. Secondo noi il pericolo doveva essere preso in considerazione: nessuno poteva immaginare il giorno esatto, ma che prima o poi potesse succedere qualcosa era nell’aria e non sono state prese misure sufficienti per impedirlo».

Davide Cagnola

© RIPRODUZIONE RISERVATA