
Una tragedia, quella della nave Concordia, che sta man mano perdendo il suo potere mediatico come fisiologicamente accade per tutte le notizie, anche per quelle più sconvolgenti; tragedia che però continua a mantenere impegnati centinaia di uomini alle prese con le azioni di recupero e le ipotesi di risoluzione di una catastrofe tanto umana quanto potenzialmente ambientale.
Fabio Croce, melegnanese, è un istruttore sommozzatore dei vigili del fuoco italiani, circa 25 in tutta Italia, che è stato chiamato a prendere parte alla squadra dei pompieri impegnata nel recupero dei dispersi tra i meandri del relitto. Croce, effettivo dal 1985 ha terminato il corso di specializzazione di 6 mesi per diventare pompiere sommozzatore nel 1988 e dieci anni dopo è diventato istruttore; un mestiere quello del sommozzatore che va indebolendosi non tanto per l’avvento di macchinari tecnologici ma per la penuria di fondi statali dedicati ai corsi di formazioni necessari alla preparazione di tale personale esperto. Ovviamente la vicenda della Costa Crociere è un evento limite che rende palese l’utilità di questa figura professionale rivestita per lo più da uomini come Fabio Croce che scelgono di dedicare la vita al servizio non per fama e riconoscimento ma per passione e senso civico.
A seguito dell’incidente del colosso nautico è stato attivato un soccorso tecnico urgente composto da squadre dei vigili del fuoco, speleologi, guardia costiera, carabinieri e molti altri organi di Stato che si sono adoperati per il recupero dei superstiti e il monitoraggio dell’ambiente; solo in un secondo tempo è stato convocato il team di sommozzatori per la ricerca e il recupero delle salme, poiché 17 erano le persone che mancavano all’appello. «Hanno deciso di convocare 10 sommozzatori in tutta Italia che con sistemi stagni alimentati dalla superficie si sono immersi nelle acque del Giglio - racconta Croce -. La nave al momento dello schianto si è accasciata e inclinata in pochi minuti di circa 80 gradi e molte persone non sono riuscite ad andare sul lato emerso per scappare; dopo un mese non si riuscivano a trovare molte persone e per questo siamo entrati in azione noi. Ci siamo basati soprattutto su molte testimonianze di passeggeri che si sono salvati e che raccontavano di aver visto e sentito persone chiamare aiuto da un corridoio o da un ascensore. La prima meta che abbiamo raggiunto è stata proprio questo corridoio che era spostato in posizione verticale e faceva effetto pozzo». Fabio Croce per oltre due settimane si è alternato coi compagni in immersioni di circa un’ora nell’acqua fredda e agitata del Giglio. I sommozzatori scendevano a un massimo di 20 metri di profondità dotati di un’attrezzatura costituita da una muta, una piccola bombola d’emergenza e dei caschetti rigidi stagni alimentati dalla superfice grazie a delle bombole posizionate nella parte asciutta della nave e collegate al sommozzatore con dei tubi ombelicali che garantivano anche la trasmissione audio e il collegamento video.
Ogni spostamento all’interno è stato fatto con cautela e una certa fatica sia a causa della densità di oggetti presenti in acqua sia a causa della visibilità ridotta a un metro per l’inquinamento dell’acqua resa torbida dal cibo e altri elementi dispersi.
«Come prima missione ci siamo calati nel corridoio a poppa che attraversava da un lato all’altro la nave, al quarto ponte - aggiunge il vigile del fuoco -. Era il ponte dove arrivano tutti gli ascensori e c’era l’accesso alle scialuppe. Io camminavo sullo spigolo fra due pareti poiché il corridoio era a 90 gradi quindi il pavimento faceva da parete e la parete da pavimento, l’unico riferimento eri tu che stavi in piedi. Quando la sera mi mettevo a letto avevo ancora la sensazione di cadere e una volta rientrato a casa mi dicevano che non camminavo ben diritto.»
Nonostante la squadra fosse preparata al ritrovamento dei cadaveri dei dispersi l’esperienza è stata per loro davvero intensa in particolar modo a causa del ritrovamento della bambina di 5 anni. «Il primo giorno abbiamo subito visto 4 corpi e li abbiamo recuperati, erano ancora attaccati a una porta delle scale. Li abbiamo trovati attaccati al soffitto, io purtroppo ne ho recuperati tanti di cadaveri, ma in quelle condizioni raramente, tanto che sono stati identificati grazie al dna. L’impatto più forte è stato trovare una bambina con il papà: per situazioni così non ti prepari mai. La maggiore difficoltà durante il recupero è stato il trasporto in zona emersa dei corpi che per la permanenza in acqua risultavano gonfi e tendevano al galleggiamento e bisognava esercitare forza per allontanarli dagli ostacoli ai quali erano attaccati; ci siamo inventati di legarli a una cima per fare in modo di estrarli dalla scala e farli riemergere da dove ci siamo immersi noi. C’era inoltre sott’acqua un odore terribile che è rimasto impresso anche nei vestiti e purtroppo non si vedeva niente.»
I vigili sommozzatori sono stati impegnati 12 ore al giorno divise fra immersioni e attività sulla nave; ogni mattina arrivavano su un gommone, saltavano su un atollo di salvataggio e si arrampicavano sulla nave nella quale avevano costruito una struttura in grado di sorreggerli prima dell’immersione; l’impresa non ha avuto complicazioni grazie alla professionalità del personale coinvolto e alla concentrazione che quest’ultimo è stato in grado di mantenere. La squadra di Croce ha recuperato 8 salme, 5 sono state invece recuperate da un altro gruppo di soccorso, rimangono quindi ancora 2 corpi da rintracciare che fanno presumere a un ritorno del pompiere nelle acque del relitto. «Una persona che fa il mio lavoro prende lo stipendio di un impiegato statale più un’ indennità di immersione; è un mestiere che obbliga ai turni e agli spostamenti non so se le nuove generazioni faranno questa scelta perché fin da piccoli non mi sembrano abituati al sacrificio. Io ritengo che per un pompiere sommozzatore il poter operare sulla Concordia sia stata un’esperienza unica e irripetibile» conclude Croce che dimostra come esistano ancora persone che vedono nel lavoro un’occasione per nobilitare l’animo e rendersi socialmente utili.
Il melegnanese Fabio Croce, istruttore subacqueo dei vigili del fuoco, racconta le operazioni di recupero dei corpi delle vittime del naufragio della Costa Concordia: «È stato terribile ripescare una bimba con il suo papà».
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