Scompare don Luisito, prete operaio

Sabato i funerali del cappellano dell’abbazia di Viboldone

Addio don Luisito. Ieri pomeriggio si è diffusa in tutta la comunità sangiulianese, e non solo in quella, la notizia della morte di don Luisito Bianchi: sacerdote, missionario, scrittore, conosciuto dai più per essere cappellano dell’abbazia di Viboldone da molti anni. Don Luisito è spirato poco dopo le 14 presso l’ospedale Predabissi di Vizzolo, dove era ricoverato in seguito all’aggravarsi delle patologie che lo affliggevano negli ultimi tempi. I funerali sono stati stabiliti per la giornata di domani, sabato 7 gennaio, alle 11.30 presso il convento di Viboldone: sarà una funzione officiata da diversi sacerdoti, probabilmente con l’intervento del vescovo di Cremona. Don Luisito Bianchi era infatti di origini cremonesi, nato nel 1927 a Vescovato, nella Bassa della provincia confinante col Lodigiano. Ordinato nel 1950, laureato in scienze politiche a Milano, nei primi anni di vocazione sacerdotale era stato insegnante in seminario e successivamente missionario in Belgio. A fianco dei numerosissimi immigrati italiani che sudavano un durissimo pane in miniera, in fabbrica e in altri luoghi di manovalanza straniera. Dopo un periodo di vicariato a Pizzighettone e un ritorno sulla cattedra seminariale a metà degli anni Sessanta, tra la fine di quel decennio e il successivo cominciò ad essere accostato all’etichetta - certamente un po’ stereotipata - del “prete-operaio”. Destinato in Piemonte, nella città di Alessandria, visse e raccontò nei libri (il primo è del 1968) le sue esperienze “concrete”, persino come benzinaio. Intuì la necessità di fare del lavoro moderno un momento cristiano prima che diventasse disumano. E le radici di Viboldone non sono tanto diverse, fondate su quell’ordine medioevale degli Umiliati per il quale lavoro e preghiera erano tanto vicini. Dopo l’opera del 1972, “Come un atomo sulla bilancia - Storia di tre anni in fabbrica”, nel 1975 arriva “Dialogo sulla gratuità”; nel 1989 la sua “Messa dell’uomo disarmato” tocca il punto più alto e conosciuto della meditazione fra Vangelo e storia contemporanea. Negli ultimi anni ha dato alle stampe un “Monologo partigiano sulla gratuità” (2004), e la raccolta di poesie “Vicus Boldonis terra di marcite”. Così dice di Viboldone in un libro del 1993, pubblicato insieme agli Amici dell’abbazia: «Mia abbazia, parole di pietra tratte con acqua e fuoco dalla terra / per stemperare Parola svelata

che tutte assomma di misericordia». Nel 2010 esce “Quando si pensa con i piedi e un cane ti taglia la strada”, nel quale torna sul concetto di gratuità evangelica e sulla sua problematica applicazione attuale. Don Luisito è stato anche uomo di carattere, rinunciando ad esempio, nel 2005, al “Premio per la pace” che il Comune di Milano voleva attribuirgli: non si presentò alla cerimonia di consegna degli attestati asserendo di «non fare nulla di speciale». Alcuni sacerdoti del Sudmilano gli sono stati vicini fino all’ultimo. Don Nicola Cateni ad esempio, parroco di San Carlo Borromeo in San Giuliano: «Sono stato all’ospedale martedì - racconta -, era ancora cosciente , mi ha riconosciuto, ha sussurrato un “grazie” e mi ha salutato».

Emanuele Dolcini

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