San Zenone, pendolari al freddo nella stazione nuova di zecca

La stazione è nuovissima, però non c’è la sala d’aspetto. Così i pendolari di San Zenone aspettano il treno al freddo, sulla banchina, stretti nei loro giubbotti, sciarpe e guanti. Una prova di resistenza a cui sono abituati, se non fosse che, soprattutto negli ultimi giorni, quando il treno è in ritardo preferirebbero saperlo prima dagli altoparlanti, così potrebbero restare nel corridoio sottostante: non ci sono caloriferi, ovviamente, ma almeno è un posto al coperto. «Invece - spiegano alcuni - non sempre questo succede, non ci sono i monitor e se non ci avvisano con l’altoparlante non sappiamo nulla di quello che sta succedendo».

In occasione di una delle ultime riunioni in Regione Lombardia, il Comitato pendolari di San Zenone e le altre associazioni provenienti da altri territori hanno sottolineato il problema dell’assenza di notizie tempestive su ritardi, guasti o disservizi.

Lo scalo ferroviario è stato da poco riqualificato. Alcuni viaggiatori raccontano che la vecchia sala d’aspetto veniva spesso utilizzata come una sorta di “latrina” e forse anche per questo motivo si è preferito non prevederne una seconda, anche per evitare ulteriori problemi.A farne le spese, però, sono proprio loro, i pendolari.

Nei giorni scorsi Giusi Messina del Comitato pendolari di San Zenone ha scritto a Rfi, Trenord e Pirellone per informarli del fatto che il convoglio 23216 è arrivato con 13 minuti di ritardo per dare precedenza ad altri treni, così come successivamente spiegato dal capotreno.

«Naturalmente non è stato effettuato nessun annuncio vocale che ci informasse sul ritardo del treno, eccetto lo scorso lunedì - spiega Messina -. A San Zenone siamo sprovvisti di monitor e sala d’attesa quindi aspettiamo

assiepati sui marciapiedi e nel sottopasso, stamattina (mercoledì per chi legge, ndr) c’erano -3 gradi.

Naturalmente questo ritardo si somma a quello di ieri (martedì, ndr) e di lunedì». E la settimana non è ancora finita.

«La maggior parte di noi ha quindi dovuto giustificare ancora il ritardo al proprio datore di lavoro consumando i propri permessi personali - aggiunge Messina -. Parecchi pendolari poi, dopo il treno, devono prendere altri mezzi di trasporto. Naturalmente il ritardo fa perdere anche le coincidenze. Tutto ciò - conclude Messina - comporta tensioni e nervosismi vari che sommati ad altri problemi fanno abbassare la qualità della vita».

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