L’arcivescovo Scola a San Giuliano

Una visita pastorale con l'obiettivo di aiutare la comunità a «superare il "fossato tra la fede e la vita quotidiana" e riuscire ad assumere gli stessi pensieri e sentimenti di Cristo». Sono parole dell'arcivescovo Angelo Scola, con citazione di Paolo VI, ieri sera a San Giuliano Martire per l'atteso incontro con i fedeli del decanato di San Giuliano e San Donato. In una chiesa naturalmente gremita. Il primo gesto del cardinale, arrivato con largo anticipo, è stato la benedizione con l'acqua del battistero nei pressi dell'ingresso della chiesa. La prima parola è spettata al prevosto don Luca Violoni, seduto accanto all'ospite insieme al vicario episcopale padre Michele Elli. In prima fila i sindaci dei due Comuni, Marco Segala e Andrea Checchi, poco distante il maresciallo Roberto Zorzetto che guida la stazione dei carabinieri di San Giuliano. Violoni ha “rubato la scena” all'arcivescovo per pochi minuti, presentando il decanato senza risparmiare dati e numeri: «San Giuliano e San Donato sono realtà differenti. Il cristianesimo qui ha mosso i primi passi dal VI secolo. Negli anni '50 del '900 vivevano qui circa 10mila persone, ora sono circa 70mila. Oggi c'è un popolo vivo e variegato che non ha alcuna intenzione di cedere il passo. Sono 2.500 i volontari che lavorano nelle nostre parrocchie: un quarto di coloro che partecipano alla Messa domenicale. Un dono prezioso». Da lì in poi, l'arcivescovo ha giocato giustamente il ruolo del protagonista, non senza professione d'umiltà («Non parlerò a lungo, alla mia età parlare troppo è pericoloso, non si sa cosa si finisce per dire»). «Quando mangiamo qualcosa lo metabolizziamo, assimiliamo. Quando prendiamo il Gesù eucaristico è lui che ci assimila» è stata una delle immagini iniziali del suo intervento. La visita risponde a uno «scopo specifico ben preciso, il tentativo di assumere sempre di più il pensiero e i sentimenti di Cristo. Quando usciamo dalla chiesa rischiamo di non portare le conseguenze dell'eucarestia nella vita di tutti i giorni». Nel rispondere alle domande presentate dai rappresentanti del decanato, selezionate tra quelle arrivate tramite questionario dalle varie parrocchie, Scola ha tessuto le lodi della «testimonianza autentica. L'autorità di Gesù dipendeva dal fatto che era coinvolto in prima persona in ciò di cui parlava. Comunicava qualcosa di vero, di vissuto. Non solo una regola da osservare ma un principio di vita. La testimonianza è diversa dal buon esempio. Ho conosciuto un uomo molto malato, il cui unico piacere era la Messa domenicale. Mi ha detto: “Non mi manca nulla, perché so cosa vuol dire amare”. Questa è una lezione, una testimonianza vera». Tra le questioni poste, quella dell'educazione alla fede dei più giovani. «Dove possiamo imparare a vivere rapporti densi e intensi? Dobbiamo imparare da quelli tra Gesù e i suoi discepoli, dalle prime comunità cristiane - ha risposto Scola -. La parola chiave è “appartenenza”. È il sentimento che sperimentiamo in famiglia e nei piccoli paesi. Gesù punta su questo. L'oratorio è il luogo in cui essere fratelli e sorelle in Gesù è il criterio che alimenta la vita». Un'esortazione: «Dobbiamo semplificare la nostra vita. L'eucarestia è il luogo in cui si impara la sobrietà».

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