Inchiesta esclusiva - Abbiamo incontrato il popolo dei disperati della droga che da Rogoredo si sono spostati a San Donato Milanese. Sul «Cittadino» di lunedì le loro storie

Dopo l’escalation di episodi di microcriminalità e l’allarme dei commercianti e del sindaco il nostro Emiliano Cuti è andato sul campo. Ecco cosa ha raccolto

Dario, chissà se il suo vero nome, ma così chiede di essere chiamato, è uno dei protagonisti (suo malgrado) delle tante storie che s’incrociano al confine tra San Donato Milanese e Rogoredo, dove le vite sono condizionate - troppo spesso anche sacrificate - dal consumo della droga. Quarantuno anni, anche se i segni sul volto e i pochi denti rimasti, ne aggiungono almeno una decina in più alla sua età, ogni giorno prende il treno (senza biglietto) e scende a San Donato per “farsi”, quasi un gesto necessario per dimenticare, cancellare i ricordi per non soffrire per gli affetti persi, la moglie e i figli lontani, in Georgia. Lui arriva proprio dall’ex repubblica sovietica, ferito da un colpo di pistola al bacino, è arrivato in Italia da profugo. «Sono arrivato a Milano quattro anni fa, oggi sono senza documenti, senza passaporto, senza un lavoro - racconta Dario -. Ho due figlie, una ha 8 anni, l’altra 15, sono rimaste in Georgia con la mamma. Io non le sento più. Senza un lavoro, senza niente, mi sono perso e nessuno mi ha aiutato. Senza nemmeno accorgermene, mi sono trovato a fumare, poi con un ago in vena per dimenticare».

L’inchiesta completa di due pagine sul Cittadino in edicola lunedì 6 marzo

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