Dieci anni alla “madame” di San Giuliano che schiavizzava le nigeriane sulla Binasca

Dieci anni di carcere per riduzione in schiavitù e sfruttamento della prostituzione: è la pena inflitta dal tribunale di Milano, per rito abbreviato, a J.A., nigeriana di 28 anni, con marito e una bambina di due anni, che secondo l’accusa aveva trasformato il suo elegante appartamento di San Giuliano Milanese in un dormitorio da 50 euro al giorno per “lucciole” fatte arrivare dalla Nigeria e le mandava a fare “il mestiere” al Francolino di Carpiano, sulla Binasca. La squadra mobile della questura di Milano aveva arrestato a novembre lei, il marito, anche lui africano, O.I., 29 anni, e altri due nigeriani: E.I., 29 anni, di casa a Roma, e O.U., 24 anni, anche lui stanziato a Roma: quest’ultimo è stato l’unico assolto e ha pure lo status di rifugiato politico. Per il marito e l’altro presunto complice,invece, pene di 6 anni e più. L’indagine era stata avviata dalla procura della Repubblica di Lodi, dopo che la polizia nel 2014 aveva raccolto la denuncia di una nigeriana poco più che ventenne che aveva raccontato di aver lasciato la Nigeria nel 2011, arrivando in Italia su un barcone, e di essere stata avviata alla prostituzione.

Una storia di violenze e minacce: scappata dalla sua famiglia per evitare una seconda infibulazione - questo il suo racconto -, le era stato promesso un lavoro da colf ma ben presto era stata sottoposta ad abusi. E anche “legata” con un rituale “ju ju”, variante nigeriana del woo doo: costretta a bere un bicchiere di grappa con il cuore di un galletto appena squartato, e a giurare di non denunciare nessuno e di restituire oltre 40mila euro per il viaggio in Europa. Lavorando su questa storia, la polizia e il pm di Lodi Nicola De Caria ne hanno raccolte altre otto, con conferme negli incidenti probatori. Concretizzata la grave ipotesi di riduzione in schiavitù, la competenza era passata alla Dda di Milano, pm Alessandra Cerreti.

Il 29enne romano, difeso dall’avvocato milanese Antonio Nebuloni, era accusato di essere uno dei “passatori” che accoglievano le ragazze a Roma e le facevano salire sui treni per Milano: nell’unico episodio documentato però aveva delegato un’altra persona. Probabilmente il gup ha ritenuto comunque sufficienti altri indizi che lo collocavano nella trafila dello sfruttamento. Fu il rifugiato politico, in quel caso, a ospitare e poi accompagnare la ragazza al treno, ma il giudice lo ha ritenuto non consapevole della triste sorte della giovane che aveva prelevato all’aeroporto.

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