Barakat: i servizi «non hanno vigilato»

Secondo i giudici di Appello il padre del piccolo Federico era «un uomo violento con una personalità disturbata» ed è mancato un adeguato controllo

È mancata una adeguata vigilanza su un rapporto «fortemente devastato» dalle condotte del padre. Per questo il giudice della Corte di Appello di Milano ha condannato lo scorso luglio la responsabile dei servizi sociali di San Donato, E.T., a quattro mesi di reclusione per la morte del piccolo Federico Barakat. Nei giorni scorsi, a tre mesi dalla sentenza, sono state depositate le motivazioni. Trentasei pagine per spiegare come i servizi sociali, in particolare nella sottovalutazione della personalità violenta del padre, hanno avuto un ruolo nella tragedia del 25 febbraio 2009, nel centro socio sanitario di via Sergnano, quando un bambino di nove anni appena venne trucidato dalla follia del padre, in quel momento sotto l’effetto di stupefacenti.

Secondo la Corte, quindi, E.T. «non ha sviluppato una adeguata vigilanza» nel rapporto padre e figlio, soprattutto in presenza di un padre «affetto da disturbo di personalità, un uomo violento verso la moglie e nell’ultimo periodo facile all’ira, minaccioso e aggressivo». «Sono motivazioni molto chiare - spiega l’avvocato Federico Sinicato, legale della mamma del piccolo Federico, Antonella Penati -, che riferiscono di un comportamento in aperta violazione dei vincoli e dei limiti che il tribunale aveva dettato quando aveva affidato il bambino ai servizi. Secondo il giudice è stata sottovalutata la personalità di Mohammed Barakat, la progressiva acredine sviluppata nei confronti del sistema, dei servizi e di chi gli impediva di avere un rapporto diretto e di potere con il figlio. Ma anche i segnali che arrivavano dal bambino, la sua preoccupazione, gli episodi di molestie e minacce alla mamma».

Non si fa cenno, invece, nelle motivazioni, agli altri due imputati, ovvero l’educatore S.P., presente il giorno della tragedia, e l’assistente N.C. Per questo il legale ha già annunciato l’intenzione di fare ricorso in Cassazione perché anche la loro posizione venga definita. «Di loro la sentenza non dice nulla, sono come dei fantasmi - spiega l’avvocato -. Questo è un tema su cui faremo ricorso in Cassazione. N.C. era nello staff con la responsabile dei servizi, mentre l’educatore aveva una sua imputazione specifica relativa alla carenza di attenzione avuta quel giorno. Il fatto che il giudice non dica nulla è anomalo e rende monca la sentenza. Assolvendoli infatti avrebbe anche dovuto motivare la sua decisione».

Il ricorso sarà fatto quindi solo per i due imputati assolti. Se verrà accolto dai giudici della suprema corte, per loro potrebbe ripetersi il processo di appello. Ma è probabile che anche i legali di E.T. decidano di fare ricorso in Cassazione per chiedere l’annullamento della condanna. Sul processo per il piccolo Federico Barakat, a quattro anni e mezzo dalla sua morte, non è ancora il momento di mettere la parola “fine”.

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