Spozio, “tutto” in cinque anni:

sesto con l’“otto” a Roma 1960

Angelo Polledri (campione di cui abbiamo già parlato nei giorni scorsi in questa rubrica) era sempre lì sulla riva a scrutare chi si cimentava con i remi. Un ragazzotto gli dice che vuol provare. Dopo averlo visto in acqua per qualche giorno, l’occhio del lupo di fiume non può sbagliare, il giovane ha sicura stoffa, è un’altra delle “scoperte” del mentore del canottaggio lodigiano. Luigi Spozio nasce a Lodi il 17 aprile 1936. Di mestiere fa il carpentiere, ha 18 anni quando si avvicina allo sport remiero. Polledri gli dà fiducia e lo inserisce nell’equipaggio del “quattro con” assieme agli esperti Pandini, Rossetti, Bonagura, timoniere Castelli, vogatori questi che già si sono fregiati di un titolo italiano. Siamo nel 1956, sfuma la possibilità di rivincere il titolo per una forma di sciatica che blocca proprio Spozio. C’è soltanto un terzo posto nella gara a Castelgandolfo, una delle tre prove del campionato nazionale. Un anno dopo andrà meglio quando l’armo lodigiano, nella finale per il titolo, ottiene l’argento alle spalle dell’equipaggio della Moto Guzzi che poi si prenderà l’oro alle Olimpiadi di Melbourne.

Nel 1957 Spozio parte per il servizio militare in Marina. Per lui sono due annate ricche di successi. Partecipa a varie gare su diverse imbarcazioni, ormai fa parte dell’élite dei canottieri nostrani. Dopo un titolo italiano conquistato con la “jole 8” Juniores, nel primo anno di naia, nel 1958 vince quattro titoli tricolori: con la “jole 8” Juniores, con il “quattro con” Juniores, con il “quattro con” Seniores e con l’“otto”. Da mettere in conto c’è anche un quarto posto agli Europei.

Congedato, Luigi riprende alla Canottieri Adda. Gareggia nel singolo, arriva qualche piazzamento, non risultati d’eccellenza, ci sono di mezzo problemi personali che intralciano la sua attività. Sembra proprio che la sua stella si sia offuscata. Inattesamente il destino del carpentiere devia dalla strada oscura cui sembrava incamminato. Viene chiamato all’inizio del 1960 dalla Marina Militare quale probabile olimpico. Una maglia azzurra era invitante, a portata di remo. Spozio stentava a crederci, si chiedeva come mai la Marina avesse chiamato proprio lui che era stato congedato sei mesi prima. Un mistero, né valeva il riferimento ai risultati ottenuti nel recente passato, poiché in seguito si era praticamente “defilato”. A Sabaudia sotto con gli allenamenti e Spozio viene incluso nel “quattro con”, ma la sciatalgia lo blocca ancora. Tutto finito? Nemmeno per sogno, sta meglio ed è incluso quale settima voga dell’“otto”. All’Idroscalo di Milano ha luogo la selezione decisiva e l’armo della Marina è primo precedendo i soliti rivali della Moto Guzzi. Le porte delle Olimpiadi di Roma sono ora aperte al lodigiano, il suo sogno diventa realtà. Nella prima eliminatoria l’armo azzurro si piazza terzo dietro a statunitensi e a canadesi. È battaglia nel recupero. L’Italia passa prima ai 500 metri, ma ai 1000 è il Giappone a condurre. Non demordono gli azzurri e si impegnano in un testa a testa con gli orientali riuscendo a precederli di sei decimi. L’armo azzurro accede così alla finale. Tiene la terza piazza sino a metà gara, ma cede nettamente nel finale e ottiene il sesto posto, una classifica di tutto rispetto in una rassegna che allinea i migliori del mondo. L’oro va alla Germania.

Le belle parole, i valori, il manto patinato che avvolge la pratica sportiva, tutto questo si scontra con la realtà. Luigi è sposato con Marisa, i due hanno un bambino. Il canottaggio non dà soldi, lui deve badare alla famiglia, cerca una occupazione. È un mesto addio all’Adda, alla Canottieri, al remo, agli amici che ha conosciuto “passando” sulle acque del fiume. Si trasferisce a Varese e poi, nel 1972, ad Azzano nel Bergamasco. Un po’ di rammarico accompagna lui e forse anche Polledri, l’uomo che lo scoprì. Quello di non essere riuscito a conquistare un titolo italiano con la maglia a strisce orizzontali della società lodigiana. Polledri tempo addietro mi disse “poco male” in fondo per l’alloro mancato, lui era soddisfatto per non essersi sbagliato nel ritenere Luigi rematore di classe.

La favola dell’olimpionico di Lodi può dunque considerarsi finita. Le vittorie, la passione, una carriera che si era snodata brillantemente nell’arco di cinque anni, ormai tutto è riposto nel bagaglio dei ricordi. Passa il tempo e un bagliore illumina il cammino di Luigi. Ha 55 anni e una gran voglia di riprendere. Acquista uno skiff di plastica, va all’Idroscalo di Milano, si tessera al Ckc, quale atleta Master. Comincia ad allenarsi e a gareggiare. Viene costituito un gruppo di veterani denominato “Master Italia”, al quale il lodigiano aderisce. Incomincia a raccogliere una serie di successi. Dal 1991 al 1998, in ordine, conquista il titolo mondiale della sua categoria, a Miami, a Colonia, a Vienna, a Groningen, a Bled, a Budapest, per due volte di seguito a Monaco. È vincente anche in regate internazionali, è bronzo alle Olimpiadi Master di Portland e si cimenta anche nel “doppio” e nel “quattro senza”. Ormai ha preso il gusto di vincere e non si ferma più, sport per lo sport, l’espressione qui ha la sua genuinità. Trasferte a proprie spese, nessuno sponsor, i Master sono paghi nel ritrovarsi in uno specchio d’acqua con un remo fra le mani. Nel settembre del 1999 aveva voluto recarsi a Siviglia per assistere ai Mondiali anche se la salute non lo sorreggeva. L’epatite di cui soffriva ebbe ragione del suo fisico, muore il 16 novembre 1999. Era benvoluto e stimato da quanti lo conoscevano; il suo animo schietto e la sua bontà sono nella memoria dei molti amici. Dalla moglie Marisa, partecipe affettuosa delle sue vicende, dopo quarant’anni di convivenza, vennero allora espressioni commosse nel ricordare il marito che aveva speso con intensità e con gioia la propria vita. Un’Olimpiade è passata velocemente su una carriera sportiva. Lui, a 55 anni, era tornato a remare per vincere. Una manifestazione remiera, intitolata a Luigi Spozio, si svolge da alcuni anni all’Idroscalo.

Walter Burinato

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