Sport
Mercoledì 04 Luglio 2012
Riccardi infilza tre ori e un argento
Fu uno dei migliori interpreti mondiali della spada
Un luogo, il legame che si crea con la gente. A San Colombano l’oratorio di San Rocco e l’annessa chiesa vennero costruiti nel 1514 da allievi del Bramante; gli edifici ebbero, nei secoli a seguire, varie modifiche. La chiesa ricorda, pur senza ripeterla, l’Incoronata di Lodi ed è monumento nazionale. La famiglia Riccardi Sterza acquistò oratorio e chiesa dai frati Servi di Maria ai primi dell’Ottocento, quando Napoleone aveva obbligato gli ordini ecclesiastici a vendere i propri immobili. Famiglia di benestanti, quella dei Riccardi Sterza, originaria di Milano, proprietaria di immobili e di terreni, fra cui un podere di vigneti a San Colombano. Dura da due secoli e da più generazioni dunque questa entratura nel centro banino, dove abitavano in alternanza con Milano. Per questo i Riccardi possono considerarsi banini d’adozione.
Le gemme di una carriera prestigiosa le coglie alle Olimpiadi. A 23 anni è chiamato a far parte della squadra azzurra di spada ai Giochi di Amsterdam del 1928: con lui ci sono Giulio Basletta, Marcello Bertinetti, Carlo Agostoni, Giancarlo Cornaggia Medici e Renzo Minoli. Gli azzurri eliminano tutte le avversarie e nella finale battono nettamente la Francia, l’eterna rivale dell’Italia conquisatando la medaglia d’oro che conferma la tradizione vincente della nostra scherma. Nell’individuale i nostri invece non hanno fortuna, il titolo va al francese Gaudin. Passano quattro anni e l’appuntamento è alle Olimpiadi di Los Angeles 1932. Cornaggia Medici, Agostoni e Minoli, sono ancora i compagni di Franco Riccardi; c’è inoltre Saverio Ragno, la cui figlia Antonella vincerà l’oro alle Olimpiadi di Monaco del 1972. Va tutto bene e in finale gli azzurri ritrovano i francesi, che stavolta riescono a prevalere dopo dura lotta e quindi ai nostri spadisti va l’argento. La rivincita si consuma nell’individuale con Cornaggia Medici oro e Agostoni bronzo. A Berlino nel 1936 Franco Riccardi è il capitano della squadra, l’uomo di punta per i meriti acquisiti. Gli spadisti italiani centrano un fantastico en plein. Franco è oro, Ragno argento e Cornaggia Medici bronzo. Nella finale a squadre, battuta la Svezia, arriva la medaglia di metallo pregiato. Con gli spadisti citati c’erano in squadra Edoardo Mangiarotti, Alfredo Pezzana e Giancarlo Brusato.
Una episodio storico rende l’idea della grandezza non solo sportiva del personaggio. Nel corso di una riunione di atletica in notturna allo stadio berlinese Franco è presente in tribuna. Un improvviso black out lascia tutti al buio. Allora lo spadista azzurro chiede di parlare al microfono, invita gli spettatori ad accendere un fiammifero o l’accendino. Migliaia di fiammelle brillano, un’immagine suggestiva che dovrebbe simboleggiare fratellanza e pace. Non sarà così, purtroppo. Hitler si appresta a infiammare l’Europa. L’episodio è riportato dai giornali di tutto il mondo.
Riccardi ha concluso le sue partecipazioni olimpiche con tre medaglie d’oro e una d’argento. Continuerà fino all’inizio della guerra e proprio il conflitto mondiale lo priva della quarta partecipazione ai Giochi. La bacheca che raccoglie i suoi successi è comunque eccezionale: oltre cinquanta, raccolti in vari tornei e manifestazioni internazionali, fra cui citiamo due ori e tre argenti ai Mondiali, fra titoli individuali e di squadra. Si sposerà, avrà due femmine e un maschio, Enrico, che dirige la casa vinicola a San Colombano che porta il suo cognome. Ancora la sorella Bianca così l’aveva ricordato: «Franco ci metteva l’anima nella scherma, si allenava continuamente. Viveva il suo sport con grande intensità, si logorava se non riusciva raggiungere i risultati. Portava a casa medaglie, coppe, trofei, ma denaro niente. C’era mio padre che provvedeva a sostenerlo». È scomparso il 24 maggio 1968. Riccardi ha potuto praticare la scherma sotto le ali benigne della fortuna. Il suo talento naturale ha avuto modo di esprimersi senza l’assillo di doversi guadagnare il pane. Sì, una sorta di professionista di nome visto che le pedane non gli davano utili venali. Una sequenza che lui ha vissuto mille e mille volte: la concentrazione, le luci, l’attimo bruciante delle stoccate, l’avversario battuto e anche il rammarico per la sconfitta, tutte immagini che debbono essergli rimaste dentro. Ha un posto fra i “grandi” dello sport italiano questo campione che San Colombano ha voluto considerare dei suoi dedicandogli lo stadio di calcio.
Walter Burinato
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