Morettini conquista l’oro a Helsinki 1952

Marino Morettini, un campione che sfreccia sulla pista e sa regalare a se stesso e all’Italia due medaglie olimpiche. Dando lustro a Spino d’Adda, paese che lo accoglie a fine carriera. Nasce a Vertova (Bergamo) il 2 gennaio 1931. È il secondogenito di sei fratelli, papà Vincenzo (che lavora all’Orobia, società elettrica) e mamma Bambina hanno il loro daffare per reggere la famiglia che, nel 1935, si trasferisce a Caravaggio. Finita la scuola dell’obbligo uno sportivo caravaggino, Giovanni Possenti (detto “Muol”), gli procura la prima bicicletta da corsa. Il ragazzino è un fulmine nello sprint. A 18 anni ha un fisico possente:

90 chili per un metro e 90 di altezza. La sua pedalata sprigiona una eccezionale potenza, la sua progressione è micidiale. Marino dà tutto dall’inizio alla fine, la sua strategia di gara non conosce attendismi. Si tessera per il Pedale sportivo Trevigliese, per poi passare al Velo club Varese nel 1951. Vittorie, record, piazzamenti: la sua è una carriera costellata da gemme che lo collocano fra i più grandi pistard d’ogni tempo. Cinque maglie tricolori nella velocità su pista e una sequenza di primati mondiali sono nella sua bacheca. Il chilometro e i 500 metri sono per anni le “sue” gare. Il record dei 500 metri lanciati (28”30) ottenuto nel 1955 resiste fino al 1973 quando viene battuto da Patrick Sercu a Città del Messico. Stabilisce anche per due volte il record del chilometro lanciato, nel 1956 con 1’03”60 e nel 1961 con 1’02”60. Tre le sue presenze ai Mondiali di velocità e altrettanti i podi conquistati: nel 1951, non ancora ventenne, è bronzo a Milano, l’anno dopo è argento a Parigi (verdetto contestato poiché i giudici assegnano una dubbia vittoria all’altro azzurro Sacchi) e nel 1953 nel mitico velodromo Oerlikon di Zurigo conquista la maglia iridata.

Olimpiadi di Helsinki del 1952. Marino è chiamato a far parte del quartetto dell’inseguimento. Per molti mesi i quattro azzurri si preparano agli ordini del ct Guido Costa. Il carattere istintivo ed esuberante di Morettini mal si concilia con la disciplina dei ritiri ma, salito in bicicletta, si impegna sempre al massimo, è instancabile. Nell’inseguimento a squadre ognuno ha il proprio compito e Costa precisa: «Messina guiderà il quartetto, Morettini ne sarà il motore». Ricorda Guido Messina, suo compagno din quell’avventura olimpica, insieme a Loris Campana e a Mino De Rossi: «Io ero stato messo alla ruota di Marino che, al mio comando, doveva aumentare la velocità. Riuscì a farlo sempre, a qualsiasi velocità stessimo andando». Il cammino dell’Italia è esaltante. In batteria elimina facilmente la Svizzera, in semifinale supera la Gran Bretagna e infine conquista la medaglia d’oro strapazzando il Sudafrica (4’46”1 contro 4’53”6). Morettini fa di più: nel chilometro da fermo conquista l’argento finendo alle spalle dell’australiano Mockridge (suo acerrimo rivale), ma precedendo il quotato sudafricano Robinson. I trionfi olimpici gli valgono la nomina a Cavaliere della Repubblica e la Medaglia d’oro al valore atletico del Coni.

Marino termina la sua avventura olimpica. Per un anno si trova a battagliare su tutte le piste, poi la decisione a fine 1954 di passare professionista: certo, si deve badare a incassare qualcosa per le necessità del vivere... Veste i colori della Frejus, nel 1956 passa alla Bianchi, poi alla Carpano Coppi, quindi in successione dal 1959 alla Lygie, alla Fides e all’Ignis, a cercare sistemazioni che gli diano una certa sicurezza economica. Si cimenta in tutte le specialità della pista, inseguimento, a punti, velocità, americane, Sei giorni, ed è ingaggiato dai velodromi d’Europa e d’Australia: la sua presenza dà garanzia che lo spettacolo sarà sempre interessante. Le gare di velocità, delle quali è un formidabile interprete, lo trovano a misurarsi con avversari che rappresentano il massimo della specialità a livello mondiale: Antonio Maspes (il più grande di tutti, suo testimone di nozze), Enzo Sacchi e Sante Gaiardoni. Costoro ricorrono a strategie più mirate, mentre Morettini spara subito l’energia di cui dispone. Vince e perde negli scontri e forse non è fortunato nel trovarsi a competere con una così qualificata compagnia.

Nel 1956 Marino si sposa con Paola Leoni, dalla quale avrà due figli. Nel 1963 termina la sua carriera: è ancora relativamente giovane, ma non ne può più di girare il mondo. A Spino d’Adda, in un’ala del castello Zineroni Casati, apre un ristorante, il “Paredes”, che dirige unitamente alla moglie. Abita sempre a Spino fino alla sua scomparsa, a causa di un male che non perdona, avvenuta il 10 dicembre 1990.

Alcuni anni dopo la sua morte andammo a intervistare la moglie Paola nella sua casa a Nosadello. Ne venne un “ritratto” di un campione, con il suo carico di umanità, fatto di gioie e di tristezze. Riportiamo alcuni flash di quella intervista: «Lui aveva bisogno che ci fosse una persona cara che lo seguisse in gara - ricordò Paola -: io fui partecipe spesso, prima c’era sua mamma Bambina, appassionatissima, mentre il papà Vincenzo non era molto entusiasta dell’attività del figlio». Un ricordo particolare: «Accade nel 1959. Marino si era preparato per i campionati italiani al “Vigorelli”, se avesse vinto sarebbe andato ai Mondiali. E c’era in ballo anche una tournée. Mi disse che se fosse tornato con la bici sopra la macchina era il segno della sconfitta, mentre con la vittoria avrebbe lasciato la bicicletta a Milano per allenarsi in vista delle gare iridate. Verso l’una vidi arrivare la macchina con le biciclette. Sembrava che il mondo ci fosse crollato addosso». I soldi in effetti a casa Morettini non erano molti, il primo stipendio lo prese quando passò alla Bianchi, 45mila lire al mese. Prima si era accontentato di qualche rimborso, gli davano anche delle biciclette da vendere e poteva tenere il ricavato, ma Marino non aveva la stoffa del venditore... Gianni Brera lo considerava un suo “figlioccio”, andavano a pescare insieme e continuarono a frequentarsi anche quando Marino lasciò le corse. Il tono si fece sommesso quando la moglie ricordò l’amicizia con Fausto Coppi, che lo volle in squadra con sé. Le vicissitudini con la Dama Bianca e il dramma della morte del Campionissimo furono due ferite non rimarginabili per Marino.

Marino Morettini, il gigante spinese d’adozione, che mordeva il manubrio e la bicicletta “saltava” quasi non riuscisse a sopportare lo sforzo. Nei velodromi si staglia una figura, un’immagine che vuole resistere al logorio del tempo.

© RIPRODUZIONE RISERVATA