L’addio di Lucchini: «Peccato solo non aver vestito la maglia azzurra»

Veni, vidi, vici. Lo aveva dichiarato la scorsa estate: «Torno alla Cremonese per riportarla in Serie B». Promessa mantenuta: «E ora che ho realizzato il mio sogno posso chiudere serenamente la mia carriera di calciatore». Già, perché Stefano Lucchini ha deciso di lasciare da vincente: dopo 294 presenze (e 4 gol) in Serie A, 97 in B e 45 tra C1 e Lega Pro l’ormai ex difensore di Castelnuovo Bocca d’Adda, 37 anni il prossimo ottobre, passerà dall’altra parte della barricata rimanendo però nel mondo del calcio sempre con gli amati colori grigiorossi. A breve si definirà il suo futuro: «Con il club stiamo parlando da tempo. Avrei ancora un anno di contratto come calciatore, ma ho scelto di appendere le scarpe al chiodo. Me l’ero promesso appena tornato a Cremona: se saliamo in B smetto. Avevo un debito nei confronti di questa società. Qui mi sono formato come uomo e come calciatore. Adesso vorrei dare una mano in un’altra veste, che dobbiamo ancora decidere: inizialmente si pensava a un ruolo di allenatore del settore giovanile, ma ultimamente ha preso corpo anche l’idea di un impiego dirigenziale. Ne sapremo di più a giorni».

Proprio all’ombra del Torrazzo Lucchini ha cominciato a respirare l’aria del calcio professionistico: dopo la trafila nelle giovanili, ha esordito in prima squadra, in Serie B, il 23 maggio 1999 contro il Chievo. Dopo due stagioni in grigiorosso è passato alla Ternana, trampolino di lancio verso la Serie A: cinque anni a Empoli (uno dei quali tra i cadetti), quattro alla Sampdoria («Il periodo migliore della mia carriera»), tre all’Atalanta e due al Cesena, di cui l’ultimo in B. Nell’estate 2016 è tornato nella sua amata Cremona, in Lega Pro, riportando la squadra di casa nel secondo campionato italiano dopo ben undici anni di assenza. «Volevo chiudere un cerchio, lasciare un bel ricordo nella città che mi ha lanciato».

E ci sei riuscito…

«È stato un campionato molto difficile. Io non ho giocato moltissimo (14 presenze e un gol, ndr) a causa di diversi infortuni. Non mi era mai capitato nella mia carriera. Ma penso di aver comunque dato il mio contributo, mettendo la mia esperienza al servizio della squadra. L’Alessandria, la nostra rivale per la promozione, ha disputato un grandissimo torneo, ma noi siamo stati bravi a crederci sempre anche quando la rimonta sembrava impossibile. Siamo arrivati a pari punti con i piemontesi, ma siamo saliti B grazie al ruolino favorevole negli scontri diretti. Si è deciso tutto negli ultimi minuti dell’ultima giornata».

Immagino la festa… Proprio convinto di smettere?

«Io sono davvero molto, molto felice. Per il club, per i compagni, per la città. Nelle ultime ore mi sono arrivati un sacco di messaggi: amici, ex compagni, tifosi… Tutti che mi chiedono di ripensarci. Ringrazio anche loro, ma ormai ho preso la mia decisione: è il momento migliore per lasciare».

Facciamo un bilancio della tua carriera: il periodo più bello?

«Sicuramente alla Sampdoria. Nel 2009/2010 arrivammo quarti, conquistando l’accesso ai preliminari di Champions League. Lo stesso anno fui convocato da Prandelli per un’amichevole della Nazionale maggiore. Realizzai i miei sogni di bambino. Fu un anno giocato davvero a livelli altissimi».

A proposito di Nazionale: hai vestito la maglia dell’Under 21 (12 presenze) ma non hai mai esordito con la squadra A. È il tuo grande rammarico?

«Sì, mi sarebbe piaciuto indossare almeno una volta la casacca azzurra. Credo, e mi scuso se posso peccare di immodestia, che nel 2010 me lo sarei meritato. Ma in occasione dei Mondiali di quell’anno Lippi preferì puntare su altri giocatori. A parte questo, sono fiero di ciò che ho fatto: quasi 300 presenze in A non sono proprio patatine».

Sei mai stato vicino a un grande club?

«Per un paio di volte ho avuto contatti con la Juventus. La prima nel 2007, quando si fece male Andrade. La seconda nel 2010, quando Delneri passò dalla Samp ai bianconeri. In entrambi i casi non se ne fece nulla. A volte mi chiedo come sarebbe andata la mia carriera se si fossero concretizzate quelle trattative…».

Hai avuto comunque occasione di giocare in Europa con la Sampdoria e di conoscere da vicino grandi campioni. Chi sono stati i compagni più forti?

«Totò Di Natale all’Empoli e Antonio Cassano alla Samp. Di Natale forse è sbocciato un po’ tardi, ma poi fino a quasi 40 anni ha dimostrato tutto il suo valore. Cassano invece era, anzi è, un fenomeno. Non è andato al Real Madrid per caso. Purtroppo ha un po’ sprecato un talento immenso».

È proprio “matto” come si dice?

«In realtà è un bravo ragazzo. Però ogni tanto, come dice lui, gli parte la brocca. Gli errori che ha commesso hanno condizionato molto la sua carriera. Peccato, perché a mio parere parliamo di uno dei più grandi talenti del nostro calcio».

Chi è strato invece l’avversario più difficile da marcare?

«Ho incrociato vari fenomeni: Trezeguet, Shevchenko, Milito… Ma quello che mi ha fatto dannare più di tutti è stato Ibrahimovic: impossibile da anticipare, impossibile da sovrastare».

La tua partita del “cuore”?

«Un derby con il Genoa vinto 1-0: assist di Lucchini e gol di Cassano. Emozioni indescrivibili».

La tua Samp ha disputato un buon campionato, le milanesi invece sono in crisi nera. Che idea ti sei fatto?

«Credo che abbiano sofferto i cambi societari e dirigenziali degli ultimi anni. Non c’è stata una reale programmazione. Credo che tutto ciò abbia influito anche sulle prestazioni in campo».

La Juventus invece continua a volare. Può davvero conquistare il “triplete”?

«Penso di sì. Non sono un tifoso bianconero, ma mi auguro che vinca la Champions per il bene del nostro calcio. Abbiamo bisogno di una grande vittoria per rilanciare e rendere più “attrattivo” il nostro movimento».

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