La sfida di Melchiori in campo e in carcere

«Lavoro a stretto contatto con don Gino Rigoldi, chi ha “deviato” l’ha fatto in un contesto particolare:

così cerco di rendere più solide le ragazze che alleno»

Missione allenatore. Non poteva essere altrimenti per Lorenzo Melchiori, coach del Cavallino Poasco, società dalle solide tradizioni inserita nel girone di Serie C femminile insieme alla Fanfulla. Melchiori è uno che il basket lo ha vissuto e lo vive dal profondo del cuore. «Fino agli 11 anni ero un “autodidatta” - racconta - e giocavo per le strade, poi sono entrato nelle giovanili della Mobilquattro Milano».

E dopo la trafila nelle giovanili?

«È arrivato anche l’esordio in Serie A. Era il 1973, facevo parte dei 12 del roster di quella squadra che aveva in Chuck Jura la sua punta di diamante. Era soprannominato lo “sceriffo” del basket, ma era una persona straordinaria, un esempio di umiltà sia dentro che fuori dal campo. Sul parquet dava tutto quello che poteva ed era sempre disponibile anche con noi giovani».

E la carriera di allenatore?

«Ho iniziato con le squadre femminili di Cariplo Milano, Rho e Arcore, tutte esperienze che ricordo con piacere. Poi mi sono preso una pausa di riflessione per dedicarmi al mio lavoro e alle mie due gemelle».

E sono proprio le figlie le “responsabili” del ritorno di Melchiori sulla panchina di una squadra di pallacanestro, quel Cavallino Poasco che ormai allena da dodici stagioni consecutive: «Serena e Francesca sono nate nel 1993 e hanno anche loro la passione per questo sport. È proprio una questione di Dna. Quando hanno raggiunto l’età giusta per iniziare ho preso in mano la parte tecnica del Cavallino, facendo giocare le compagne di scuola elementare delle mie figlie. Purtroppo Serena dopo il terzo infortunio al ginocchio ha dovuto smettere, mentre Francesca sta facendo bene: lo scorso anno ha conquistato la promozione nella massima serie con la Reyer Venezia ed è stata confermata quest’anno nel roster di A1. Per il momento tiene botta, ma sa benissimo che non sarà un’avventura facile».

Le compagne delle tue gemelle hanno continuato nel Cavallino...

«Di quel gruppo storico è rimasta Danesi, figlia di Tiziano, dirigente responsabile che mi dà una grossa mano dal punto di vista della gestione della squadra. È una delle anime di questa società».

Com’è il Melchiori allenatore?

«Cerco di curare molto la comunicazione, l’unità del gruppo, sbagliando il meno possibile, sfruttando le mie esperienze lavorative».

Quali?

«Sono insegnante Isef di educazione fisica all’interno del carcere minorile “Beccaria”. Lavoro a stretto contatto con don Gino Rigoldi. Tutti i giorni mi rendo conto che il reato e la persona sono due cose differenti e i ragazzi che hanno deviato lo hanno fatto in un contesto particolare: se non rientrano in quel contesto sono recuperabili. Io sono lì per loro e cerco di dare tutto me stesso».

E la stessa cosa avviene nel basket?

«Il basket è una passione ma anche una missione, perché allenare queste giovani vuol dire fornire loro delle motivazioni valide per distoglierle da eventuali pericoli, renderle più solide grazie a un ambiente intelligente, sereno e competitivo come quello del Cavallino».

Un allenatore a tutto tondo...

«Diciamo che c’è chi fa l’allenatore per due ore; io invece sono avvantaggiato perché tratto con i giovani per tutta la giornata».

Siete pronti per far saltare al Cavallino un ostacolo più alto?

«Aspettiamo il taglio del nastro di questo benedetto nuovo centro sportivo qui a Poasco; teniamo duro, poi partirà il processo di rivitalizzazione».

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