I 60 anni di “zio” Bergomi: da Settala al “Bernabeu”, sempre con la maglia dell’Inter

Oggi il compleanno del campione del mondo 1982

Sembra quasi più giovane adesso rispetto a quando, a soli 18 anni, vinse il Mondiale durante la trionfale cavalcata in Spagna nel 1982. Colpa di quei baffoni che gli valsero il nomignolo di “zio”: copyright del lodigiano Gianpiero Marini, che la prima volta che vide il giovane difensore nello spogliatoio dell’Inter non riuscì a trattenere lo stupore. “Urca, con quei baffi sembri mio zio”, sentenziò il “Pirata” con la consueta ironia, consegnando alla storia uno dei soprannomi più celebri della storia del calcio azzurro.

Lo “zio”, naturalmente, è Beppe Bergomi da Settala, una vita nell’Inter e in Nazionale prima di diventare la “seconda voce” per eccellenza nelle telecronache di Sky, coppia fissa con l’amico Fabio Caressa. Oggi lo “zio” Bergomi raggiunge un altro traguardo: 60 anni, cifra tonda. I baffoni sono spariti da tempo, così come i boccoli sfoggiati a inizio carriera. Da marcatore indomabile, si è trasformato in un intellettuale del pallone. Pacato, gentile, ma anche pungente e “divisivo”: gli interisti lo accusano di essere poco interista, i tifosi delle altre squadre lo additano invece come portavoce del verbo nerazzurro. «Se le critiche arrivano da tutte le direzioni, significa che faccio bene il mio lavoro: cerco di essere sempre più equilibrato e oggettivo possibile», aveva raccontato cinque anni fa al “Cittadino” in un’intervista a Matteo Talpo.

Di sicuro i 22 anni trascorsi in nerazzurro, dal 1977 al 1999, hanno segnato indelebilmente la sua carriera e la sua vita. «Io se guardo l’Inter a casa neanche riesco a stare seduto per la tensione, poi però quando faccio la telecronaca subentra la professionalità», ricorda in una delle tante interviste concesse in questi giorni per celebrare il suo 60esimo compleanno. Ha fatto scalpore la “notizia”, comunque già nota ai calciofili, della sua “fede” calcistica giovanile: «Abitavo a Settala, un paese di quattromila anime nella pianura padana. Giocavo per strada, giocavo all’oratorio. La prima porta nella quale ho segnato era una cabina dell’Enel. Nasco milanista, come mio padre e come gran parte dei miei compaesani». Il provino in rossonero però non andò bene: «Decisero di lasciarmi a casa per un problema di reumatismi nel sangue. Guarii e dopo due anni in cui giocai nella squadra del mio paese tornarono alla carica diversi club: mi voleva la Juventus, ma mi voleva soprattutto il Fanfulla. Io, però, scelsi l’Inter. Mi impuntai io, ero un bambino di tredici anni. Mi aveva fatto una buona impressione l’ambiente e poi era vicino casa. Ci sono rimasto vent’anni». Diventando un simbolo, una bandiera e un tifoso (sfegatato) dei nerazzurri: con la maglia della “Beneamata” Bergomi ha collezionato 756 presenze (solo Javier Zanetti, con 858, è più in alto nella speciale classifica), segnando 28 gol, con tanto di scudetto dei record (‘88/’89), una Coppa Italia, una Supercoppa e ben tre Coppe Uefa.

La vittoria più bella resta però quella con la maglia azzurra nel 1982, quando il giovane (e incosciente) Beppe diventò campione del mondo da assoluto protagonista grazie alla geniale intuizione di Enzo Bearzot, che lo lanciò titolare anche nella finale del “Bernabeu” contro la Germania Ovest, in marcatura sul futuro compagno di squadra Rummenigge. Otto anni dopo, a Italia ’90, sfiorò il clamoroso bis durante le “notti magiche”. E a 35 anni, in Francia nel 1998, dopo essere stato escluso da Arrigo Sacchi a Usa ‘94, disputò il suo quarto Mondiale (in curriculum anche quello di Messico ’86): solo Buffon, tra i giocatori italiani, ne ha fatti di più. «Ho fatto quello che volevo da bambino, quando vincevo contro la cabina Enel. Mi sono divertito vivendo con il gioco più bello del mondo».

Da Settala al gotha del calcio: tanti auguri, “zio”!

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