CALCIO Lodetti festeggia gli ottanta anni di Gianni Rivera: «Un capitano ideale»

L’81enne ex giocatore del Milan e della Nazionale originario di Caselle Lurani celebra il compagno che vinse anche il Pallone d’oro

Giovanni Lodetti ha festeggiato da una settimana i suoi 81 anni. Oggi invece tocca a Gianni Rivera soffiare su 80 candeline. Il “basleta” di Caselle Lurani e il “Golden Boy” di Alessandria non solo sono stati compagni di squadra nel Milan per nove anni, ma hanno condiviso le stesse zolle del centrocampo, con compiti diversi. Lodetti era l’uomo che guardava le spalle al fuoriclasse e che correva anche per lui, lasciandolo libero di inventare e segnare. Insieme hanno vinto tutto: 2 Campionati, 2 Coppe dei Campioni, 1 Intercontinentale e 1 Coppa delle Coppe.

Quale è il suo primo ricordo di Rivera?

«Quando nel 1961 ho giocato per la prima volta con lui mi ha subito impressionato. Poi col tempo siamo diventati un binomio positivo vincendo tutto quello che c’era da vincere. E siamo stati anche in nazionale insieme».

In campo che tipo di giocatore era?

«Giocava con classe e in modo pulito e lineare. Aveva sempre sangue freddo e calma. Si muoveva prima degli altri verso la palla perché capiva in anticipo dove sarebbe andata».

Rivera aveva libertà di azione anche grazie a lei che correva per lui.

«Non direi proprio così, è venuto in modo naturale. Non c’è stata un’imposizione di Rocco, che schierava un Milan quasi perfetto con Rivera, Mora, Sormani, io e Prati».

Con il numero 10 libero di creare.

«Certo, lui faceva quello che si sentiva in campo. Dico sempre una cosa: se tu lasci libero Rivera, uno dei migliori giocatori al mondo, o lasci libero un altro giocatore diciamo normale… chi vince la partita?».

Quel Milan vinceva perché era anche un grande gruppo.

«Non c’erano gelosie e invidie e tutti noi ci fidavamo di Rivera capitano e di mister Rocco. Gianni parlava e trattava con la società, ritirava i premi partita e poi ce li dividevamo fra noi: anziani e giovani. È stato un capitano ideale».

Un capitano che parlava poco.

«Vero ma era un leader. Perché come ti guardava ti bruciava con lo sguardo».

Rivera non le ha mai raccontato della famosa staffetta con Mazzola a Messico ’70?

«Non abbiamo mai parlato dell’episodio di quel Mondiale in Messico. Era un tema delicato e nessuno ha osato ricordarglielo».

Chi potrebbe essere un giocatore che oggi assomiglia a Rivera.

«Credo che nessun grande giocatore assomiglia all’altro. Ho visto giocare anche Schiaffino che faceva delle giocate che non riuscivano ad altri. È così è stato per Rivera che aveva delle qualità personali non replicabili. Come quando guardava la tribuna e allo stesso tempo metteva in mezzo all’area la palla per l’arrivo di Pierino Prati che andava in gol (oggi lo chiameremmo assist no look, ndr)».

Si ricorda un aneddoto simpatico?

«Quando era l’ora di pranzare con la squadra Gianni a volte si presentava in ritardo. Così gli ricordavo che il capitano si doveva presentare in anticipo… battuta che scatenava una risata generale».

Rivera racconta che adesso vorrebbe diventare proprietario di un club o ct della Nazionale.

«Se aspetta ancora un po’…. (ride ndr). Credo che abbia sbagliato ad abbandonare il mondo del calcio dopo che ha smesso di giocare. Doveva allenare da subito, e in particolare i giovani non le prime squadre. Perché i ragazzi ascoltano e hanno più rispetto. Il suo posto ideale sarebbe stato quello».

Cosa direbbe a oggi Gianni?

«Gli farei gli auguri di buon compleanno e gli direi che noi due dobbiamo continuare a comportarci bene come abbiamo fatto finora».

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