
Un lasso temporale che sembrava infinito. In 36 anni ne sono successe di cose. Sono cambiati una miriade di governi, è caduto il muro di Berlino, Al Bano e Romina si sono separati, non ci sono nemmeno più Sandra e Raimondo e sono cambiati addirittura tre Papi. Da quell’ultimo scudetto conquistato con l’esodo di massa a Gorizia nel 1981 sembra passata una vita, ma c’è una cosa che non è mai cambiata resistendo alle intemperie dell’esistenza: l’amore incondizionato di una città, capace di aspettare anche i rigori a oltranza, per la maglia giallorossa. Ecco: questo scudetto è sicuramente frutto dell’impegno di una società abile a rinascere dalle ceneri, di quel testardo di Roberto Citterio ostinato sempre nel raggiungere i propri scopi, dell’apparente burbero Nuno Resende, della bandiera Domenico Illuzzi e dei suoi compagni capaci di rialzarsi sempre quando tutto sembra ormai perduto. Ma questo scudetto è più di ogni altra cosa la certificazione dell’amore di una città per l’hockey su pista. Se lo merita. Quali altre piazze avrebbero resistito a una storia così lunga e travagliata? Ricca di emozioni e così povera di trofei? Poche, se non nessuna. E invece Lodi è rimasta sempre lì, con i suoi alti e bassi, bella e maledetta, con i suoi pregi e i suoi difetti. Si esalta a una vittoria e si deprime dopo una sconfitta, ma non si sposta mai di una virgola. Lei c’è. E adesso si gode questo meritato successo, in una stagione che più volte sembrava compromessa, ma che si chiude con in bacheca due trofei. Non si arrabbi di grazia la Supercoppa Italiana, anch’essa vinta a Forte contro il Forte, ma questo Scudetto è destinato davvero a rimanere nei libri vecchi e impolverati della cara e buona vecchia Laus. Perché se lo merita, perché ce lo meritiamo. Perché adesso sembra troppo bello per essere vero, e da ieri sera è festa. Chissà per quanto durerà, per giorni o forse mesi. Finché si ricomincerà a giocare e a fare sul serio, e allora i lodigiani torneranno ancora lì con il loro carico di aspettattive, pronti a tifare, sicuramente anche a criticare e commentare. Ma sempre e comunque maledettamente lì. Dove l’hockey nasce e fa sognare intere generazioni. Bravo Amatori, grazie di esistere.
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