LODi Sotto il ponte ma anche in centro, i senza tetto alla ricerca di un rifugio VIDEO

Tanti gli italiani, soprattutto giovani, rimasti senza casa: li abbiamo ascoltati

Una coppia di giovani dorme tra cuscini e cartoni nella rotonda di corso Mazzini. Un uomo ha trovato il suo giaciglio di fronte al tempio di San Francesco. Sono gli ennesimi scatti che fanno salire il magone. E purtroppo non sono gli unici. Siamo nel 2020, la gente dorme per la strada, nei parchi, sotto il ponte, anche a Lodi. Il diritto all’abitazione sancito dalla Costituzione e ribadito in ripetute sentenze della Consulta, non è garantito.

Torna alla mente la ragazza, ripresa qualche giorno fa, che ha fatto della galleria di via Gaffurio, l’angolo buono della città, la sua camera da letto. Molti di quelli che frequentano la “Mensa Insieme” del seminario, sono anche utenti del dormitorio e quando il loro turno mensile al dormitorio è terminato, per loro c’è la strada, o l’ospitalità di qualche amico più fortunato. Sotto il ponte della tangenziale i giacigli non mancano e anche le persone che dormono, avvolte nelle coperte, in pieno giorno. L’Adda butta sotto le arcate tutta la sua umidità. Sulle sponde dell’Adda, un uomo guarda il fiume e mangia. «Non voglio parlare, ho già tanti problemi io». In mezzo al bosco, qualcuno ha “apparecchiato” la tavola.

Sull’erba, tra i rami e le formiche, in cerchio, foglie trasformate in piatti con mais, pasta, fagioli e cocco.

La povertà non riguarda solo chi è arrivato da lontano e non ha ancora trovato una collocazione. La lingua d’origine, per molti, è l’italiano. L’appello di Paolo, 48 anni, originario di Livraga, un utente storico della mensa, arriva dritto al cuore. «A me - dice seduto di fianco alla sua bicicletta, sulle panchine di piazza Ospitale - serve una casa. Facevo il lattoniere a Casale, poi ho perso tutto. In questo periodo sono al dormitorio, lo alterno alla strada». Il suo compagno di panchina butta giù un sorso di vino. «Lo metta un appello sul giornale - dice Giuseppe R. 51 anni - cerco lavoro, come muratore e manovale. Ho lavorato anche in una lavanderia industriale. Avevo una sorella, ma è morta. Il mio letto sono i parchi della città».

Un uomo, distinto, occhiali da sole e soprabito beige, arriva in bicicletta. Fa finta di niente, saluta le persone in fila davanti alla mensa, dissimula quella che sente, probabilmente, come una diminuzione di dignità. Andrea Dossena, 39 anni, zaino in spalla e il suo amico ex studente del Dams, vicino, è disperato: «Se non ci fosse la Caritas - dice -, mi sarei già suicidato. Ho perso i miei due genitori di cancro e i nonni, nel giro di 5 anni. Lavoravo come commesso in un negozio di materiale elettrico, l’attività ha chiuso, vivo con l’assegno di invalidità, ma non mi basta. Sono stato 10 anni in strada. Ho passato tanto tempo a dormire al settimo piano dell’ospedale, prima della pandemia. Era terribile. Avevo gli incubi. Cerco disperatamente un lavoro».

A dargli speranza c’è Francesco Massenzana. Anche lui, un anno fa, dormiva dove capitava. La cooperativa che gli dava lavoro era fallita e lui aveva perso tutto. «Poi - dice - ho chiamato un’amica di Famiglia Nuova -, mi ha aiutato a trovare un lavoro. Oggi ho una casa e sto bene».

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