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Martedì 09 Agosto 2011
«Vengo dal Marocco, ma sono italiana»
Adela, da 10 anni in città: «Se mi chiedono: da dove vieni?», rispondo «Da Lodi»
Adela ha ventuno anni ed è arrivata in Italia dieci anni fa, quando ancora era una bambina. Questo, senza dubbio, è riuscito a rendere tutto più facile, e i risultati si vedono.Perfettamente integrata, con un nuovo lavoro e il sorriso stampato sulle labbra, Adela vive una vita inaspettata e si sente felice. Dal giorno della sua partenza molto è cambiato: la sua famiglia, le sue prospettive per il futuro, la sua condizione economica e, perché no?, anche lei stessa: «Mi sento più ottimista, ho meno timori, affronto ciò che il destino mi riserva con coraggio. Qui sto bene, l’Italia è il posto che fa per me».Ciao, scusa se ti disturbo, ma volevo chiederti se puoi raccontarmi la storia della tua vita per Il Cittadino. Anche se mi sembra che qui si tratti di una storia breve, considerata la tua età.«In effetti ho ventuno anni».
Te ne davo di meno. Da dove vieni?«Questa domanda è già l’intervista?».
Diciamo di sì, se sei d’accordo e vuoi rispondere.«Va bene, mi piace. Vengo dal Marocco, Rabat per la precisione. La conosci?».
Ci sono stata.«Ecco, io sono nata proprio a Rabat e lì ho vissuto fino a una decina d’anni fa. Ma se mi chiedi da dove vengo, la prima risposta che mi salta in mente è dall’Italia. Insomma, sono nata in Marocco ma la mia vita è qui, praticamente sono italiana».
In effetti hai vissuto quasi più qui che lì.«Mangio la pizza, i miei sogni sono in italiano, ho amiche italiane, un lavoro qui. Capirai che per me il Marocco è ormai la casa dei miei nonni, il Paese d’origine dei miei genitori, qualche ricordo d’infanzia e poco di più. Anche se cerco di rispettare ancora alcune tradizioni marocchine».
Ad esempio?«Innanzitutto la religione, poi la cucina: faccio un couscous fenomenale. Mi piacciono anche la danza e la musica tradizionale, ma non disdegno nemmeno i Negramaro o la Nannini».
Un bel mix, per stare in tema.«Essere stranieri come me, trasferiti da piccini, controvoglia, all’improvviso, dovendosi adattare in tempi record, significa appartenere a due mondi e quindi non appartenere a nessuno. Preferisco non classificarmi: se mi chiedono “Da dove vieni?”, rispondo “Da Lodi”. Invece alla domanda “Quali sono le tue origini?” rispondo “Marocchine”. Capito?».
Chiarissimo. Come ti trovi qui?«Mi sono trovata bene fin da subito, a parte le difficoltà dovute alla lingua. Ma tra bambini ci si intende, in qualche modo. L’inserimento a scuola non è stato indolore, però devo dire che sono stata seguita bene. Nella mia classe ho trovato le amiche più care, quelle con cui sono in contatto ancora oggi, e ottimi insegnanti di italiano, sia fra le maestre che fra i compagni. Nel giro di tre-quattro mesi non avevo problemi a capire la vostra lingua. Sorrido se penso che mia mamma ancora oggi quando deve andare in posta va in crisi».
Lei ha meno occasioni di contatto con gli italiani.«Esatto. E alla fine fa anche fatica a integrarsi, perché non riesce a parlare. Comunque questa è la sua storia, invece noi stiamo parlando della mia».
Dicevi di esserti trovata bene qui.«Certo, ho avuto modo di studiare fino a ottenere il diploma di ragioneria e adesso, dopo un anno passato alla ricerca di un lavoro, finalmente ce l’ho fatta e anche mio padre sembra convinto».
Cosa intendi?«Che inizialmente preferiva che non lavorassi. Diceva che una donna sta meglio a casa sua. Io ho una visione diametralmente opposta: ho studiato per lavorare e guadagnare qualcosa, mica per fare la maglia. Ho dovuto insistere parecchio».
E tua madre?«Mia madre la pensava come lui. E le mie amiche tutte a dirmi che però stare a casa e non fare nulla non è nemmeno tanto male, come per le Casalinghe Disperate, il telefilm. Io non sono d’accordo: una donna può lavorare bene come un uomo, quindi perché non dovrebbe farlo?».
Che lavoro hai trovato?«All’inizio pensavo a un impiego nell’ufficio amministrativo di qualche azienda, considerato il mio diploma. Poi però, non trovando nulla, mi sono detta: “Adela, ma perché non provi con i supermercati? Hai visto quanti ce ne sono?”. Mi sono presentata, ho portato il curriculum e alla fine ce l’ho fatta. Sono contenta».
Mi fa piacere.«Le mie amiche sostengono che non è proprio il massimo, ma si sbagliano. Gli orari sono elastici, ho qualche sconto, incontro parecchia gente e con le colleghe mi trovo bene. Solo la paga lascia un po’ a desiderare, ma come primo lavoro è perfetto».
Sei davvero entusiasta.«Il mio entusiasmo è contagioso: anche a mia madre fa piacere vedermi così e mio padre, come ti dicevo, ha smesso di tenere il broncio. Questo non scriverlo».
Non vuoi?«Ma sì, scrivilo, tanto glielo ripetevo tutti i giorni che aveva sempre il broncio. Adesso, invece, siamo tutti più contenti e io non devo dipendere dalla mia famiglia: do in casa una parte dei soldi per le spese e il resto è tutto per me, mi gestisco io».
Hai fratelli o sorelle?«Io sono la più piccola; ho un fratello maggiore di ventiquattro anni che vive con noi e lavora con mio padre e una sorella di ventinove che abita in Marocco con il marito. Lei non ha mai visto l’Italia, anche se io e mia madre stiamo facendo i salti mortali per portarla qui in vacanza almeno una volta».
Voi tornate spesso in Marocco?«Praticamente ogni estate. Rivedo i miei zii e i nonni, è una bella festa. La nonna mi prepara i miei piatti tradizionali preferiti, il nonno suona. È bravissimo, sembra che l’aria vibri di energia. E io rispolvero l’arabo, perché non ho nessuna intenzione di dimenticarlo».
Quanto tempo fa è arrivato tuo padre?«Ero piccolina, avrò avuto quattro o cinque anni. Eravamo davvero poveri allora, anche se i ricordi che ho sono piuttosto vaghi. Mia mamma e mio papà discutevano spesso per le spese, perché non c’erano i soldi e ogni imprevisto diventava un vero problema. In fondo eravamo in cinque con lo stipendio di mio padre soltanto, e non uno stipendio da muratore in Italia, ma da camionista in Marocco: te lo raccomando. Così un giorno è partito».
E tu?«Ero furibonda e triste, non sapevo se piangere o urlare. Proprio come il giorno in cui ci siamo dovuti trasferire qui anche io, mio fratello e mia madre. Si parte sempre per non tornare più, e uno lo sa».
Non è sempre detto.«Vero, ma io non avevo dubbi. Ricordo di avere salutato la mia compagna di classe, la mia migliore amica, con le lacrime agli occhi. “Ci sentiamo, vedrai”, mi diceva. Ma io sapevo che era solo un’illusione».
Mai più sentita?«Miracolo della tecnologia, l’ho ritrovata su Facebook. Ma nel frattempo sono cambiate molte cose: né io né lei siamo quelle di una volta, viviamo in due mondi diversi. Lei fra poco si sposerà».
E tu?«E io voglio godermi questo momento della mia vita, in cui tutto sembra andare per il meglio e mi sento il cuore leggero».
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