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Mercoledì 15 Maggio 2013
Taharid, 18 anni: «Sogno di lavorare in una panetteria»
Taharid ha diciotto anni, è marocchino e studia da panificatore in una scuola del Lodigiano. A giugno si diplomerà e potrà finalmente svolgere il lavoro che ama, proprio nella ditta dove ha fatto lo stage.Sorridente, entusiasta e profondamente realista, Taharid ha intrecciato la sua storia con quella della sua famiglia: una famiglia che sembra andare a due marce. Se la parte maschile, infatti, lavora, si integra e trova soddisfazioni, quella femminile sembra chiusa, quasi soffocata, dalla solitudine. Una parte vive e sogna, l’altra aspetta e spera. E nell’aria rimane un po’ di amarezza.Ehi, fermati. Stai rientrando da scuola? Sei italiano?«Sì, sto rientrando da scuola e no, non sono italiano. Sono marocchino».Quanti anni hai?«Diciotto. Ma, scusa, perché tutte queste domande?».Per sapere se posso intervistarti per la pagina degli immigrati del Cittadino. Ti va?«Direi proprio di no».Perché?«Perché non mi va di raccontare la mia storia con il rischio che i compagni o i professori mi riconoscano. Sono un tipo riservato. Poi magari i compagni mi prendono in giro. Lascia stare».E se cambiassimo nome? Potresti raccontarci la tua vita senza essere riconosciuto. Che ne dici?«Va bene, ma se mi “beccano” me la prendo con te».Affare fatto.«Vai, spara, dimmi cosa vuoi sapere. Sono a tua disposizione».Inizia tu, da dove vuoi. Non è un interrogatorio.«Allora, ti accennavo che sono marocchino e che ho diciotto anni. Mi trovo in Italia da quando ne avevo dodici, sono arrivato con mia mamma e mia sorella maggiore, che adeso ha ventitré anni. Tutta la famiglia si è trasferita perché mio papà aveva ottenuto il ricongiungimento».Che lavoro fa tuo papà?«Lavora nell’edilizia. Per fortuna è uno di quei pochi fortunati che ancora hanno un impiego, visto che si stanno occupando di un grande cantiere. Lui era partito molto tempo prima di noi, credo una decina d’anni prima del nostro arrivo: io ero piccolissimo. Era venuto in Italia a lavorare e qui si era fermato. Mio padre ci inviava a casa i soldi e noi crescevamo. Direi anche piuttosto felici, visto che economicamente stavamo bene. Poi arriva la notizia della partenza».Come l’hai vissuta?«Con curiosità, ma anche con una certa tristezza. Io non volevo lasciare il Marocco: a casa mia stavo benissimo. Avevo i miei compagni di scuola, la mia famiglia, le mie abitudini. Ero disposto a visitare l’Italia, ma non per restarci. Mia sorella, poi, la vedeva ancora peggio: lei non voleva assolutamente partire, nemmeno per sogno. Ma non avevamo voce in capitolo».E tua mamma?«La sentivo confidarsi con la sorella: era disperata, anche perché qui non aveva proprio nessuno. E infatti tuttora è sempre da sola. Abbiamo tutti vissuto il ricongiungimento più come un funerale che come una festa. Sai com’è, no?».Posso immaginare. Ed è tuttora così?«No, ora io mi sono “integrato”, come ci tenete a dire voi giornalisti».Dai, non scherzare.«Scherzo sul modo, ma in fondo è vero. Sto frequentando l’ultimo anno di scuola, a giugno mi diplomo e posso finalmente iniziare a lavorare. Con la storia del ricongiungimento avevo praticamente perso un anno. Capita, è la vita. Ma la verità è che non conoscevo una parola di italiano e un mese non basta per chi come me parlava solo l’arabo e un po’ di francese».Cosa vorresti fare da grande?«Il panificatore, ho studiato per quello. E non vedo l’ora. Nel corso dell’ultimo stage mi è stato detto che sono bravo, che sono pronto e potrei essere più che utile al forno. Questo mi ha reso felice, mi ha spinto ad andare avanti. È un bel mestiere, il panettiere, a parte gli orari notturni, che però hanno un certo fascino».Bravo.«Ti dicevo che non vedo l’ora di iniziare, anche perché mio papà ci sta mantenendo tutti da molto tempo e credo invece sia giunto il momento che anche io mi renda utile. Ma voleva assolutamente che prima finissi la scuola».E tua sorella?«Mia sorella non lavora, da noi è raro che le donne lo facciano. Aiuta mia mamma».Lei cosa ne pensa?«Lei preferirebbe lavorare, ho sentito che ne parlava con mia mamma. Vorrebbe uscire un po’ più spesso di casa e avere delle amiche: non avendo frequentato la scuola, qui non conosce praticamente nessuno, come mia madre. Ma, se anche le fosse permesso, che lavoro potrebbe fare?».Tu cosa ne pensi?«Di cosa?».Della situazione che sta vivendo tua sorella?«Cosa devo pensare? Un po’ mi dispiace, ma è così che deve andare. Per le donne è più difficile integrarsi».Altri stranieri mi dicono esattamente il contrario.«Per fortuna fra qualche mese si sposerà, e a quel punto se la vedrà con suo marito, valuteranno insieme».Si sposerà qui in Italia o un Marocco?«No, in Marocco. E io sono felicissimo, perché torno a casa per qualche settimana e riabbraccio i vecchi amici. Lo scorso anno non abbiamo potuto, ora finalmente si respira di nuovo aria di casa. Non so se mi spiego, ma quando torno sono una specie di divo: sono quello con le storie da raccontare, a cui tutti fanno domande e, modestamente, quello vestito meglio».Quindi, a conti fatti, sei contento di esserti trasferito in Italia.«Ti dirò che non saprei rispondere. Se mi chiedessero: “Vuoi vivere in Italia o in Marocco?”, credo che ci dovrei pensare un po’ su. Ma probabilmente alla fine sceglierei l’Italia. Sì, sceglierei l’Italia: e chi se la può permettere questa vita in Marocco? Mia mamma e mia sorella, invece, tornerebbero a casa, immediatamente, senza ombra di dubbio».E tuo padre?«Mio padre ha ristrutturato la vecchia casa di famiglia perché dice che è là che vorrebbe trascorrere la sua vecchiaia. Forse mio padre è quello che in silenzio più rimpiange il nostro Paese, anche perché è da molto che si trova qui. Fatto sta che la pensione è ancora lontana, per ora gli restano solo i sogni».Cosa vedi nel tuo futuro?«Vedo il diploma, un bel lavoro in panificio, qualche soldino in più da spendere con gli amici, l’iscrizione in palestra che ho rimandato per non gravare sulla mia famiglia e qualche serata in compagnia. Poi, ad agosto, il matrimonio di mia sorella».Tornerà a vivere in Marocco?«No, si sposa con il figlio di un amico di mio padre che lavora qui in Italia. Cambia solo casa, si trasferisce nella via accanto».Almeno, passerai a trovarla?«Credo che, molto probabilmente, sarà più spesso lei a venire qui, per chiacchierare con mia mamma».Grazie, Taharid. Buona continuazione.«Ciao. E, scusa, quando esce l’articolo?».
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