Sylvia si è dimenticata la Romania

Sylvia è una bella ventunenne bionda dal look curatissimo. Serve al bar con la camicia bianca impreziosita da dettagli scintillanti e dispensa sorrisi a tutti. L’atteggiamento è quello di chi si trova perfettamente a proprio agio, quasi il locale fosse suo. È simpatica così, a pelle, perché è leggera, non si complica la vita, ma a ben vedere prima di ogni passo sa esattamente dove andrà a parare. La sua è una famiglia integrata: la madre, il padre e il fratello hanno tutti un lavoro e una stabilità economica. Un ragazza perbene con una famiglia perbene, ecco chi è Sylvia. Della sua vita precedente, in Romania, rimane poco e nulla: «Quello è il passato, ora sono qui».

Pausa sigaretta?

«Sì, ogni tanto ci vuole. Con questo tempo poi non c’è molto lavoro e posso concedermene anche una in più».

Ti andrebbe di fare due chiacchiere e raccontarmi la tua storia per il Cittadino?

«Va bene, perché no?».

Io sono Elisa.

«Io sono Sylvia».

Quanti anni hai, Sylvia?

«Ventuno».

Ed è da molto che vivi in Italia?

«Cinque anni, un po’. Sono arrivata con mia madre e mio fratello maggiore. Entrambi abbiamo ottenuto il diploma qui. Ci è voluta un po’ di fatica, perché abbiamo dovuto inserirci nella classe precedente alla nostra in Romania. In sostanza abbiamo perso un anno».

Per via della lingua?

«Esattamente. Non conoscevo una parola di italiano. Il primo giorno di scuola è stato delirante. Credo che solo chi ha provato possa rendersi conto di cosa significa cogliere solo vagamente i concetti e stare ad ascoltare per ore. Arrivi a sera che ti scoppia la testa».

Adesso però parli benissimo l’italiano.

«Ho capito che stava cambiando qualcosa quando ho iniziato a sognare in italiano: a quel punto stai lasciando una lingua per l’altra. Niente di grave. Tu come hai fatto a capire che sono straniera?».

L’ho intuito dal colore dei capelli e dai lineamenti: sei biondissima e ricordi le “ragazze dell’est”.

«Effettivamente hai ragione. Ma speravo di passare più “inosservata”».

Cosa fanno i tuoi genitori per vivere?

«Mio padre è qui in Italia da molti anni, sono più di dieci. Lavora in cascina. È stato il suo primo impiego, conservato per tutto questo tempo. Non senza fatica. Ci sono attività che vanno svolte nel cuore della notte, e lui è sempre disponibile. Mia mamma invece fa la donna delle pulizie a ore. Lavora per una cooperativa che le garantisce una certa continuità».

E tuo fratello?

«Mio fratello è un tipo in gamba: sta studiando Scienze Politiche all’università. Nel frattempo lavora a una pompa di benzina. Io invece come hai visto faccio la cameriera in questo bar. Fammi pensare, se non ricordo male ho iniziato l’anno scorso poco prima di Natale».

Che bravi. Mi fa piacere sentire che tutti avete un lavoro e le cose vanno bene.

«Siamo stati fortunati, ma non è solo quello: siamo gente che si dà da fare, che si impegna. E questo paga sempre, soprattutto in periodo di crisi, quando la manodopera è molta e se non funzioni il tuo datore di lavoro può sostituirti in un attimo».

Tu come hai fatto a “partire” con il lavoro?

«Dopo il diploma mi sono messa la mano sul cuore: “Sylvia, studiare non fa per te”. E lì ho scartato definitivamente l’ipotesi dell’università. Non senza un certo dispiacere da parte dei miei, ma cosa vuoi farci? “Ognuno ha il suo talento”, lo dico sempre a mia mamma. Lei mi risponde che il mio è chiacchierare. Comunque, scarto l’università e mi resta il lavoro. “Cosa sai fare?”, mi sono chiesta. Ovviamente prima di iniziare uno non sa fare niente».

Effettivamente.

«Quindi ho provato a entrare a caso negli esercizi commerciali che mi ispiravano. Non aspettavo che ci fosse il cartello fuori, anche perché quello non lo mettono quasi mai. Semplicemente entravo con il mio sorriso migliore e lasciavo il curriculum. In un paio di settimane ero a colloquio dal mio titolare. Eccomi qui, un anno dopo».

Ti piacer fare la cameriera?

«Decisamente. Mi fa stare a contatto con la gente, posso chiacchierare, il che è meraviglioso, e poi mi rilassa, a parte il mattino quando c’è da correre. Inoltre ho visto che alla gente piace il mio modo di fare».

Che modo?

«Io sorrido sempre, faccio due battute, scherzo. Penso che chi va a prendersi un caffè in un bar abbia voglia di fare due chiacchiere e sentirsi a proprio agio, altrimenti si accenderebbe la moka nella cucina di casa, no? Io cerco di essere sempre allegra».

E quando non lavori cosa fai?

«Palestra».

E si vede.

«Sono appassionata. A casa ho la cyclette che uso quando proprio non ho tempo, però almeno due volte alla settimana sono in palestra con il mio programma tonificante. Ci tengo molto a essere in forma. Per il resto faccio tutto quello che fanno i ragazzi della mia età. Nel week-end, quando il bar chiude, il mio ragazzo passa a prendermi e usciamo con gli amici. Andiamo al cinema o a ballare. Le solite cose».

Ti sei integrata perfettamente.

«Direi proprio di sì. Il mio ragazzo è italiano e italiani sono i miei amici. Sono cresciuta in questo Paese, che ormai sento mio».

Questo grazie alla scuola?

«In parte alla scuola, perché mi ha “costretta” a confrontarmi con i miei coetanei italiani, in parte grazie al mio carattere e in parte grazie al fatto che qui io mi sento perfettamente a mio agio».

E che ne dici dell’aiuto che dà la bellezza?

«Sarei ipocrita se dicessi che non conta. Per questo ci tengo tanto alla palestra: la mia immagine è il mio biglietto da visita. Mi aiuta nel lavoro e nelle relazioni sociali. Mi ha facilitata mille volte. Altroché se conta».

Sembri una ragazza che ha le idee chiare.

«Chiarissime. Sono fatta così».

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