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Mercoledì 23 Febbraio 2011
«Sono fuggita per avere una speranza»
Liliana, romena, dopo una settimana a Lodi ha già trovato un lavoro
Liliana è molto contenta perché domani inizierà il suo nuovo lavoro da badante. Non male, considerato che si trova in Italia da sei giorni soltanto e che quasi non conosce la nostra lingua, al punto da averci raccontato la sua storia più con i gesti che con le parole.
Il motivo per cui si trova qui, a Lodi, per la precisione alla Casa dell’Accoglienza Rosa Gattorno, è nelle sue parole: «La Romania è fallita». A ben vedere non è difficile crederle, considerato il numero sorprendente di rumene che hanno deciso di lasciare il proprio Paese e tentare la sorte in Italia.
Per mettersi alla prova e cercare di racimolare qualche euro per i bisogni della famiglia, Liliana ha rinunciato al suo lavoro da infermiera nel reparto di psichiatria dell’ospedale di Calafat. Non solo: ha salutato parenti e amici e, contro il volere del marito, ha impacchettato le sue cose e si è trasferita qui.
La vita della protagonista delle storie di immigrati di questa settimana è racchiusa in un borsone da viaggio. Cosa sarà di Liliana non è dato saperlo: questa donna spaesata e gentile sembra ottimista, ma la sua avventura italiana è solo all’inizio.
Ti spiacerebbe seguirmi nella saletta per favore? Vorrei chiederti di raccontarmi la tua storia e parlarmi un po’ di te.
«Non sarà facile, credimi. Non conosco la tua lingua: riesco a malapena a capire le domande. Figuriamoci articolare le risposte».
In tutti questi anni di interviste ho scoperto una cosa: se un rumeno parla lentamente, qualsiasi italiano è in grado di capirlo. Le nostre lingue sono neolatine e si assomigliano moltissimo. Anche se la prima impressione è, ovviamente, di caos totale.
«Lo so. È per questo che fra tanti posti in Europa ho scelto proprio l’Italia. Mai mi sarei azzardata con la Francia, la Spagna o, peggio, la Germania. Per noi rumeni la vostra lingua è la più comprensibile e vicina, quindi più facile. Allora va bene, facciamo come dici: provo con l’italiano e se non riesco ti spiego il concetto in rumeno. Mamma mia, sarà un’impresa».
Vedrai che in qualche modo ci capiremo. Per prima cosa potresti raccontarmi chi sei?
«Mi chiamo Liliana, ho quarantatre anni e vengo da Calafat, una città della Romania che conta più o meno ventimila abitanti. Sono sposata, ho due figli e un marito, e prima di partire avevo anche un lavoro che amavo moltissimo».
Procediamo con ordine. Cosa fanno i tuoi figli?
«La femmina, ossia la maggiore, ha venticinque anni e ha appena finito il corso di laurea in Geografia. Adesso è alla disperata ricerca di un lavoro. Ha presentato moltissime domande, ma finora niente. Tiene duro, porta pazienza e non si dà per vinta, ma non mi stupisce che faccia fatica: da noi il lavoro è spesso un’utopia. Il maschio, invece, ha ventuno anni e fa l’infermiere. Ha seguito le mie orme. Per me ha fatto benissimo: c’è sempre bisogno di infermieri nel mondo».
Anche tu sei un’infermiera?
«Sì, sono un’infermiera da sempre. Prima di partire prestavo servizio nel reparto di psichiatria dell’ospedale della mia città. È una bel lavoro, il mio, e mi dispiace di averlo dovuto lasciare. La fortuna è di chi mi avrà come badante: si ritroverà non solo un’assistente, ma una persona qualificata e preparata anche per i casi più difficili».
Verissimo. Tornando alla tua famiglia, che lavoro svolge tuo marito?
«Mio marito non lavora da molti anni. Faceva l’operaio in una ditta del settore alimentare. Con il suo lavoro e il mio fino a qualche anno fa vivevamo dignitosamente; quanto meno non ci mancavano i soldi per fare studiare i nostri figli e provvedere ai bisogni della famiglia. Poi, con il fallimento della ditta dove lavorava mio marito, è iniziato il declino. Per dirla tutta, il vero fallimento non è delle aziende, ma della Romania. Stiamo andando allo sfacelo. Per questo chi può scappa, e fa bene».
Tu hai la sensazione di essere scappata?
«Sì, perché ho dovuto impacchettare le mie cose e lasciare tutto: famiglia, lavoro, parenti e amici, oltre alla mia casa e alla mia città. Questo solo perché i soldi non ci bastavano e io ero l’unica risorsa per i miei cari. Se solo avessimo potuto sopravvivere, anche tirando parecchio la cinghia, sarei rimasta a casa, su questo non c’è dubbio. Non per niente i miei figli mi hanno sconsigliato almeno mille volte di partire. Lo hanno fatto per me e perché la nostra famiglia restasse unita, ma so che appena inizierò a spedire loro un po’ di soldi, saranno più contenti e riusciranno a comprendere la mia decisione».
E tuo marito cosa ti ha detto?
«Mio marito si è addirittura arrabbiato. Voleva che restassi a casa, diceva che in qualche modo ce l’avremmo fatta. Ma io sapevo e so tuttora che quella dell’emigrazione era la nostra unica chance. E infatti guarda cosa sta accadendo; anche mio marito stenta a crederci».
Cosa sta accadendo?
«Mi trovo in Italia da meno di una settimana e tramite la Caritas ho già trovato un lavoro da badante. Comincerò domani e non vedo l’ora, anche se ho parecchie preoccupazioni per quel che riguarda la lingua. Comunque, neanche sette giorni e già tutto sta cambiando. Sai quanti soldi potrò inviare a casa con il mio stipendio?».
Effettivamente. Come sei venuta a conoscenza della Casa dell’Accoglienza Rosa Gattorno?
«Tramite un prete rumeno che vive a Lodi. È stato lui a darmi l’indirizzo delle suore. Il passaparola è incredibile, vero? Appena arrivata ho bussato alla porta delle suore e mi è stato aperto. L’accoglienza è stata incredibile. Inoltre ho incontrato numerose connazionali con cui ho già stretto un buon rapporto. Sai, quando si è lontani da casa anche solo sentire parlare la propria lingua ti scalda il cuore e ti fa sentire più vicino ai tuoi compaesani, che magari in patria non avresti nemmeno preso in considerazione. Qui i rapporti sono molto intensi. Ci si aiuta l’un l’altro: chi ha bisogno chiede, tanto si sa che di occasioni per sdebitarsi ce ne saranno molte, moltissime».
Sei arrivata direttamente a Lodi, nel giro di sei giorni hai trovato un lavoro e fra poco inizierai una nuova vita. Un bell’inizio.
«Sì, decisamente. La vuoi sapere una cosa? Qui mi sono trovata benissimo, fin da subito ho avuto una sensazione positiva, a dispetto delle previsioni catastrofiche dei miei familiari. Sono entusiasta e spero che tutto andrà bene, anche perché non ho intenzione di tornare in Romania tanto presto».
Davvero?
«Certo, mi fermerò qui parecchio tempo, sicuramente qualche anno. Non ho lasciato il mio Paese per una toccata e fuga».
Perché non provi a fare l’infermiera? Troveresti lavoro con grande facilità, visto che solo in Lombardia mancano ben trentamila professionisti.
«Ci ho pensato, ma con la lingua in queste condizioni per il momento non posso nemmeno prendere in considerazione l’ipotesi di sostenere l’esame. Dovrei prima esercitarmi un po’, magari facendo la badante. Poi, fra qualche tempo, potrò fermarmi un attimo e decidere cosa voglio dalla vita. O, meglio, dalla mia vita qui in Italia. Magari, chissà?, un domani lavorerò in qualche reparto dell’ospedale di Lodi. Non sarebbe male».
Dicevi di essere partita per avere un po’ di soldi e aiutare la tua famiglia. Qual è il tuo obiettivo? C’è un sogno che vorresti realizzare?
«Non siamo una famiglia con grandi pretese, ambizioni particolari o sogni impossibili da realizzare. Il mio obiettivo, che è poi anche quello dei miei cari, è di stare tranquilli. Ossia, avere i soldi per condurre una vita serena nel nostro Paese, nulla di più. So che stenterai a credermi, ma al momento in Romania questo è un vero e proprio sogno per moltissime persone».
Quindi vorresti solo avere abbastanza per vivere.
«Sì, per vivere. Aggiungerei “dignitosamente”, che non guasta. Il mio sogno è questo. Mi ci vorranno molti anni per realizzarlo».
Hai un’idea di quanto durerà questo periodo? Voglio dire, quanto ti fermerai in Italia?
«Il più possibile, finché ci sarà qualcuno che avrà bisogno del mio lavoro e, soprattutto, finché resisterò. Solitamente quando ho un obiettivo da raggiungere ce la metto tutta. Anche stavolta, non mancherò».
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