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Mercoledì 11 Maggio 2011
Singurdi, dell’India: «Fatemi lavorare»
Faceva il camionista, è arrivato in Italia, ma non guadagna un euro
Singurdi è giù di morale. Basta osservarlo e sentirlo parlare anche solo qualche minuto per rendersene conto. L’abbiamo incontrato in piazza San Francesco, seduto su una panchina, con la schiena ricurva e lo sguardo perso nel vuoto: «Volevo avere qualche indicazione da un’agenzia di lavoro interinale, ma purtroppo oggi è giorno di chiusura. Peccato. Mi hanno detto di tornare domani. Spero che abbiano buone notizie per me».Le buone notizie consisterebbero in un posto di lavoro qualsiasi: muratore, agricoltore, mungitore, imbianchino, tuttofare, uomo delle pulizie, badante, dog-sitter. Singurdi non mette limiti, tanto è forte e impellente il suo bisogno di lavorare.Da troppi mesi, infatti, questo trentasettenne di origini indiane non guadagna un euro. Finora il suo coinquilino l’ha aiutato, ma «niente lavoro significa niente futuro», quindi Singurdi di certo non se ne sta con le mani in mano. Con un italiano davvero stentato, a dispetto dei nove anni trascorsi nel nostro Paese, il protagonista delle storie di immigrati di questa settimana ci ha raccontato la sua storia sventolando un curriculum di due pagine stampato su carta fuxia. Un curriculum con un’unica costante: “Lavoro a tempo determinato”, sempre, in ogni fase della sua vita professionale in Italia. Questo uomo cordiale, con le mani rovinate dal duro lavoro, l’espressione gentile e tanta fiducia nel genere umano da volerci mostrare subito i documenti e lasciare il numero di cellulare nella speranza di una qualsiasi offerta di lavoro, non sa più a chi rivolgersi. L’“agenzia” è la sua ultima chance: un’altra occasione a tempo determinato per una vita in prestito, qui, a più di mille chilometri da casa.
Buongiorno Singurdi, sono una giornalista. Parli l’italiano?«Poco, capisco discretamente ma non parlo tanto bene la vostra lingua. È un problema?».
No. E l’inglese?«Idem. Anzi, forse è meglio l’italiano. Di cos’hai bisogno?».
Volevo sapere se puoi dedicarmi qualche minuto per raccontarmi la tua storia.«Va bene, tanto non ho altro da fare. I documenti?».
Vuoi vedere la mia tessera da giornalista?«No, non mi permetterei mai. Volevo solo farti vedere la mia carta di identità. Ho i documenti in regola, è tutto a posto. Cioè, ti racconto la verità».
Mi fa piacere, ma non sono qui per controllarti, mi fido di quello che mi dici tu, non mi servono le prove. Se sei d’accordo possiamo iniziare con una do manda semplice: da dove vieni? «Mi chiamo Singurdi, ho trentasette anni e vengo dall’India. Prima di partire, ben nove anni fa, facevo il camionista. Un lavoro abbastanza duro, a fronte di uno stipendio decisamente misero. I soldi non bastavano mai».
Per questo hai lasciato il tuo Paese?«Esattamente. Ho lasciato la mia casa, la mia terra e la mia famiglia per costruire qualcosa di più solido qui, per essere più sicuro, per sperare in un domani diverso. Quando la povertà non ti permette di vivere serenamente, sei pronto a tutto pur di uscirne. Io sono una persona che lavora duro e non si tira indietro. Non sono venuto qui per i facili guadagni».
Si vede dalle tue mani. Cosa hai fatto in questi quasi dieci anni in Italia?«Tante cose. Sono stato operaio, contadino e mungitore; contadino però per poco, perché la maggior parte del mio tempo l’ho passata con gli animali: vacche e maiali. La sfortuna è che le ditte per cui ho lavorato o hanno chiuso o sono state costrette a ridurre drasticamente il personale. Ogni volta è la solita frase: “lavori bene, ma in questo periodo c’è crisi”. Vedi?».
Cos’è?«Il mio curriculum. Leggi qui: guarda quanti lavori ho fatto. Ho iniziato come operaio in una fabbrica a Parma, poi sono stato custode in una ditta che produceva plastica a Fidenza. Vedi? Da qui in poi invece sono entrato nel settore agricolo».
Vedo tanti “a tempo determinato”.«Quella è la normalità: praticamente è sempre “a tempo determinato”. Ma nonostante tutto sono riuscito ad avere il permesso di soggiorno e a vivere una vita abbastanza tranquilla. È solo in quest’ultimo periodo che le cose non vanno come vorrei. Mi sento particolarmente preoccupato».
Perché?«Perché è da alcuni mesi che non batto chiodo. Dalla fine dello scorso anno non ho lo straccio di un impiego. Se in questo momento mi trovo qui è perché proprio laggiù c’è un’agenzia di lavoro interinale che sta seguendo il mio caso. Sfortunatamente mi è stato detto che oggi è giorno di chiusura. Devo ripassare domani. Spero che abbiano buone notizie. Staremo a vedere».
Che lavoro vorresti fare?«Qualsiasi cosa. Io non cerco un lavoro in particolare, non mi formalizzo. Posso reinventarmi, ricominciare daccapo, mettermi in discussione, imparare di nuovo. Mi basta lavorare e portare a casa un po’ di soldi, anche perché il tempo passa e i risparmi finiscono».
Con chi vivi?«Con un mio caro amico che mi ha aiutato dal giorno del mio arrivo e con cui condivido un piccolo appartamento. Fa il mungitore e con il suo stipendio praticamente sta mantenendo anche me. Non mi fa pressione, anzi, mi ripete sempre: “Singurdi, non preoccuparti. Quando avrai i soldi ti sdebiterai, qual è il problema?”. Invece il problema c’è: mi dispiace essere di peso, non fa per me vivere così. Io voglio solo lavorare e avere una vita tranquilla. In India non era possibile, ma qui tutto è diverso: basta che l’agenzia mi trovi un posto e ogni difficoltà svanisce. Ci tengo tanto».
Sembri molto triste.«Più che triste sono, come ti accennavo, preoccupato. Non voglio una vita incerta: ho tanti sogni da realizzare».
Ad esempio?«Ad esempio c’è una ragazza meravigliosa che mi sta aspettando in India. Dobbiamo sposarci, e io non vedo l’ora di poterlo fare. In nove anni ci siamo visti solo due volte. Certo, ci sentiamo spesso, ma non è il massimo portare avanti una relazione in questo modo. Penso che anche per lei sia difficile. Ogni volta le prometto: “Vedrai che il prossimo anno ci sposeremo”, invece c’è sempre qualcosa che va storto e bisogna rimandare».
In nove anni sei tornato a casa solo due volte?«Purtroppo sì, perché il viaggio è costoso e io non ho mai avuto tanti soldi. Quando sono tornato ho potuto rivedere le mie due sorelle e i miei genitori, oltre alla mia futura moglie e ai vecchi amici. Il tempo è volato in un lampo. Succede spesso, quando ti trovi bene».
Non hai mai pensato di trasferirti definitivamente in India?«No, non posso proprio, è fuori discussione. Con quello che guadagnavo come camionista morivo di fame e mai avrei potuto anche solo immaginare di costruirmi una famiglia; inoltre anche nel mio Paese trovare un lavoro non è impresa semplice. Meglio aspettare qui la cosiddetta “buona occasione”. Prima o poi arriva, voglio crederci».
Qual è il tuo progetto per il futuro?«Futuro? Cosa significa questa parola?».
“Future” in inglese.«Ah, “future”. Futuro vuol dire lavoro, lavoro vuol dire futuro, sono due concetti che per me viaggiano insieme. Se hai un lavoro tutto si aggiusta; se non ce l’hai, il futuro fa solo paura. Ecco, il mio progetto è trovare un lavoro. Tutto qui».
Grazie Singurdi.«Grazie a te. Dove esce l’articolo?».
Sul Cittadino di mercoledì.«Me lo scrivi per favore, così vado a comprarlo? Grazie. Lo vuoi il mio numero di telefono? Non si sa mai, magari chiama qualcuno per offrirmi un posto di lavoro».
Hai ragione. Lasciamelo e incrociamo le dita. Buona fortuna, Singurdi.«Grazie, ne ho bisogno».
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