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Mercoledì 13 Aprile 2011
«Siamo poveri, ho lasciato il Marocco»
Fatima: «Per un lavoro ho sperimentato il potere assoluto del passaparola»
Fatima ha trentuno anni, è marocchina e conosce solo poche parole di italiano. Ma non per questo ha rifiutato di farsi intervistare, anzi. Segno che in qualche modo, fra esseri umani, capirsi è possibile, a dispetto di lingue, abitudini e culture tanto lontane. Ci siamo aiutate con il francese, con i gesti e con quel piccolo bagaglio di termini ed espressioni italiane che Fatima è riuscita ad apprendere in un anno di permanenza qui. Piccolo, quel bagaglio, perché fino a pochi mesi fa il lavoro di Fatima consisteva nel fare da badante e donna delle pulizie per una famiglia marocchina. Ossia, nessun contatto con la nostra cultura. A ben vedere, è come se finora Fatima fosse rimasta in Marocco, pur trovandosi qui. Ma poi le cose cambiano e necessariamente bisogna cavarsela. Così la protagonista delle storie di immigrati di questa settimana ha attivato tutte le sue risorse. L’abbiamo incontrata seduta su una panchina, l’aria concentrata e un libro in mano. «Cosa sto facendo? Studio la vostra lingua. Sono iscritta a un corso di italiano da tre mesi. Non sono molto brava con il passato e non conosco il futuro, ma faccio il possibile. Dici che ci capiremo? Speriamo, fossi in te non ci conterei». E alla fine ci siamo capite. Fatima ci ha raccontato la sua storia di povertà e di sfide. È stata coraggiosa, questa donna dallo sguardo mite, e se l’è cavata. Il prossimo scoglio riguarda il lavoro e il denaro. Sì, perché Fatima spera con il mese di maggio di riuscire a spedire un po’ di soldi alla sua famiglia. Soldi che tutti, in casa sua, stanno aspettando.
Buongiorno Fatima. Ci dedicheresti qualche minuto per permetterci di conoscere la tua storia?
«Non so se riesco a farmi capire. Cosa vuoi sapere? Perché non chiedi alle mie amiche? Loro sono al correte della mia storia e potrebbero raccontartela senza errori. Ho ancora parecchie difficoltà con l’italiano».
Preferirei che fossi tu a raccontarmela. Vuoi provare?
«Proviamo, dai. Al massimo non se ne fa niente».
D’accordo. La prima domanda è semplicissima: da dove vieni?
«Vengo dal Marocco, da una grande città dove ho vissuto fino a un anno fa. Non sono sposata nonostante i miei trentuno anni e non ho figli, quindi prima di partire abitavo a casa di mia mamma con mio fratello maggiore e mia sorella; io sono la più piccola».
E tuo padre?
«Mio padre non esiste più: da quando ha lasciato mia madre e si è rifatto una vita, non l’abbiamo più visto né sentito. Non ci ha mai inviato soldi, non si è mai degnato di farci una telefonata, non si è mai presentato alla nostra porta. Sparito, volatilizzato. L’unica cosa che so è che non ha altri figli. Per il resto noi abbiamo sempre dovuto cavarcela da soli. Il problema è che senza un lavoro come si deve non è possibile. L’unico che poteva farci sperare in una vita decente era mio fratello; sai, in Marocco per un uomo è tutto più facile. Invece».
Invece?
«Invece è disoccupato pure lui. Io facevo la centralinista e guadagnavo una miseria; mia sorella non ha mai lavorato, così come mia mamma, mentre mio fratello, come ti accennavo, è rimasto senza lavoro. Morale della favola, eravamo estremamente poveri. Il solo a darci una mano concreta era ed è il fidanzato di mia sorella. Per il resto, niente soldi, niente possibilità, niente speranze, nessun futuro. Così, alla fine mi sono detta: “Fatima, o ci pensi tu o è la fine”. Poi mi sono fatta coraggio e ho affrontato il viaggio. In fondo non avevo proprio nulla da perdere».
Effettivamente. Cosa ti ha fatto scegliere l’Italia?
«Le voci, i racconti, il fatto che qui sia più facile sistemarsi rispetto ad altri Paesi europei. Niente di speciale, nessuna vecchia convinzione, quindi; solo un efficace passaparola. In base a quanto ho avuto modo di constatare, mi sembra che i racconti dei miei connazionali siano stati veritieri: ho trovato un lavoro, ora ne sto per iniziare un altro, ho una casa in cui vivere e sto ricevendo molti aiuti. È un Paese cordiale, il vostro. Mi sono trovata bene, decisamente».
Dove sei arrivata?
«L’aereo è atterrato a Milano Malpensa, ma io avevo già un indirizzo a cui rivolgermi qui nel Lodigiano. Si trattava di una famiglia marocchina che aveva bisogno di una donna delle pulizie che facesse anche da badante; o viceversa, che è lo stesso. A me quel lavoro andava più che bene: vivevo giorno e notte con la famiglia, mi occupavo dei genitori anziani e pulivo la casa. La paga non era il massimo, ma almeno avevo un tetto sulla testa e vitto garantito. Ossia nessun problema. Senza di loro non so cosa avrei combinato».
Sei mai riuscita a spedire del denaro alla tua famiglia con quel lavoro?
«No, anche perché come ti dicevo guadagnavo veramente poco. Avevo vitto e alloggio pagati, quindi non potevo pretendere troppo. Poi, quando questa famiglia non ha più avuto bisogno di me, mi sono ritrovata per strada. Certo, non letteralmente: erano disposti a ospitarmi per un po’, ma credimi se ti dico che proprio non sapevo a chi rivolgermi».
Cosa hai fatto a quel punto?
«Ho sparso la voce e ho chiesto ad alcuni connazionali che mi hanno prontamente consigliato di cercare un posto letto. L’ho trovato, per fortuna, e oggi posso dire di avere ancora un tetto sulla testa, assicurato finché pago».
E per il lavoro?
«Anche nel caso del lavoro ho sperimentato il potere assoluto del passaparola. Domani sarà il mio primo giorno come donna delle pulizie presso una famiglia italiana. Sono eccitata e, devo confessare, anche abbastanza preoccupata: ho paura di non riuscire a capire ciò che mi verrà chiesto, di non essere in grado di comunicare. Cosa succede se la lingua diventa uno scoglio? Non voglio che mi lascino a casa per un motivo del genere. Ce la sto mettendo tutta».
Vedo infatti che hai un libro di italiano in mano.
«Sto ripassando la grammatica. Frequento un corso da tre mesi, ma non ho fatto grandi progressi: quando sono arrivata qui non conoscevo una parola, men che meno dopo aver lavorato per parecchi mesi presso una famiglia marocchina. Praticamente l’italiano non l’ho mai parlato, se non per fare la spesa. Così su consiglio di alcune amiche mi sono iscritta a questo corso di lingua. Studio, ripasso, faccio gli esercizi, ma l’arabo è completamente diverso. Per alcune parole davvero non ho appigli. Quindi se posso mi aiuto con il francese. È molto frustrante non riuscire a farsi capire. Ci si sente isolati».
Sei la sola a trovarti in Italia della tua famiglia?
«Sì, nessuno a parte me ha tentato il grande salto nel buio. Anche perché in fondo basta che uno in famiglia si sistemi, per far stare bene tutti».
Sei stata coraggiosa.
«Non sono stata coraggiosa, sono stata disperata. Un conto è partire all’avventura, alla ricerca di qualcosa di speciale, un altro è scappare da una situazione stagnante dove il futuro sembra un miraggio. Mi sono messa in viaggio da sola perché nessuno era disposto a venire con me, tutto qui. Credo che molti altri al posto mio avrebbero preso la stessa decisione».
Hai un progetto in testa?
«Certo, lavorare. E poi ancora lavorare, lavorare e lavorare per spedire a casa un bel po’ di soldi. Tutti stanno aspettando di vedere un miglioramento, che la situazione cambi. Io posso fare la differenza, sono l’unica speranza».
Ti fermerai qui per sempre?
«Non lo so, davvero. A questa domanda proprio non posso rispondere: le variabili in gioco sono moltissime. Ti dico solo che mi affido a Dio e lascio che sia lui a guidarmi. Sono nelle sue mani».
Grazie mille Fatima, in bocca al lupo per il tuo futuro e per la tua vita.
«Grazie a te. Cosa dici, siamo riuscite a fare questa intervista? Scriverai la mia storia?».
Certo, sei stata chiarissima.
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