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Mercoledì 20 Aprile 2011
«Siamo fuggiti dalla miseria più nera»
Albert fa il muratore: «La mia Romania, infamata da persone spregiudicate»
Albert è arrivato in Italia dalla Romania perché «nessuno poteva aiutarci», nessuno poteva dare una mano a lui e alla moglie, sprofondati nella miseria più nera. Così quattordici anni fa quest’uomo abbronzato, con le braccia forti e il sorriso stentato, si è messo in gioco, ha attraversato a piedi le frontiere che lo separavano dall’Italia e nel Lodigiano ha costruito la sua nuova vita.«Erano altri tempi, i miei. Oggi si può uscire dalla Romania in tutta tranquillità, visto che è nell’Unione Europea; mentre quattordici anni fa dovevi camminare su per le montagne, attraversare le frontiere a piedi di notte e aspettare nascosto in albergo il momento opportuno per ripartire con un pullman o un taxi. Se ti prendevano era la fine, visto che i sodi bastavano a malapena per un viaggio. Sì, erano decisamente altri tempi». Sembra strano, perché raccontandoci questi dettagli Albert ha un tono che sicuramente ricorda tutta la sofferenza provata, ma che nel contempo sembra tradire anche un po’ di nostalgia. «Nostalgia? Forse, probabilmente per quello che ero: un uomo pronto a tutto, che nascondeva le sue paure e sfidava la sorte. Oggi sono un altro». Ossia un padre di famiglia quarantasettenne che ha scelto di vivere in Italia, crescere suo figlio in questo Paese e garantirgli «il miglior futuro possibile».
Albert, di dove sei?
«Sono rumeno, perché me lo chiedi?».
Perché se non ti dispiace mi farebbe piacere conoscere la tua storia per poi pubblicarla sul Cittadino.
«Va bene, ma ti anticipo che non voglio problemi».
Nessun problema, fidati. Dicevi di essere rumeno. Da quanto tempo ti trovi in Italia?
«Da quattordici anni. Ormai è una vita, considerato che mio figlio ne ha undici. Certo, torno in patria ogni anno, specialmente d’estate e per Natale, ma in tutta onestà credo che l’Italia mi abbia adottato».
Perché sei partito?
«Mi fai fare un be salto nel tempo, e nel buio, sai? Sono partito perché io e mia moglie non avevamo soldi. Lei è sola, non ha né genitori né fratelli, mentre io provengo da una famiglia numerosa: ho quattro fratelli e una sorella. Risultato: le poche risorse che c’erano in casa mia venivano divise fra tante bocche, mentre in casa di mia moglie di risorse proprio non ce n’erano. Io avevo avuto modo di studiare, e il mio sogno era intraprendere la carriera militare, ma non c’era stato verso».
Perché?
«Per via della mia altezza. Si vede, no?, che non sono una stanga. Ai miei tempi per entrare nell’esercito bisognava superare parecchi test fisici e psicologici. Io non ce l’ho fatta per l’altezza, l’unica cosa su cui non avrei mai potuto intervenire. Uno i muscoli se li fa, ma con la statura non c’è verso. Peccato, o forse no».
Qual è stato il tuo lavoro prima di partire?
«Movimentavo merci in una ditta che lavorava legname. Sai cosa ricordo di quel periodo? Il freddo micidiale. C’erano giorni in cui andavamo anche a meno venti, e io dovevo tenere aperto il finestrino per non sbagliare. Avevo il collo ghiacciato, così come la faccia; a volte tremavo anche di notte, tant’era il freddo accumulato nel corpo. Questo è il mio ricordo più vivido di quegli anni, oltre alla faccia triste di mia moglie».
Era depressa?
«Altroché. Dopo i primi periodi felici e incoscientemente spensierati, entrambi ci eravamo resi conto del fatto che in due con il mio stipendio vivere era impossibile. Non avevamo i soldi per scaldare la casa – e come avrai avuto modo di intuire io non abitavo in una zona mite – e giusto il minimo indispensabile per mangiare. Erano momenti duri, complicati dal fatto che il figlio tanto desiderato si faceva aspettare. Nessuna felicità all’orizzonte. Così, una sera ho guardato mia moglie negli occhi e le ho detto: “Parto, vado in Italia. Vedrai che sarà la volta buona, tutto si sistemerà. Fidati di me”».
Tua moglie come l’ha presa?
«Malissimo, non ha fatto che piangere per una settimana intera. Ogni volta che mi vedeva sembrava un disco rotto: “Ti prego, non partire”. Ma come potevo stare a guardare la nostra miseria? Che senso aveva vivere in quelle condizioni?».
Effettivamente.
«Alla fine anche per mia moglie è sopraggiunta la rassegnazione trasformatasi, un anno dopo, in entusiasmo. Ma prima vorrei parlarti del mio viaggio».
Dimmi.
«Oggi i miei connazionali hanno vita facile: la Romania è nell’Unione Europea e le frontiere sono aperte. Ai miei tempi, invece, bisognava attraversarle di notte, a piedi, seguendo le indicazioni di un tizio che nemmeno conoscevi e che ti garantiva di trovare un altro sconosciuto dall’altra parte, pronto ad accompagnarti alla frontiera successiva. Era adrenalina pura, anche perché ciascuno dei miei compagni di viaggio – io incluso – aveva investito tutti i suoi soldi in quella traversata. Era l’unico colpo in canna, quello con cui o centri il bersaglio o è la fine. Io il mio bersaglio l’ho centrato, e ne vado fiero».
Dove sei arrivato in Italia?
«Ho attraversato il Veneto e mi sono stabilito a Milano, ma la metropoli non mi piaceva. Mi sembrava di avere meno occasioni di lavoro. Sai, eravamo in tanti. Così quasi per caso con un amico mi sono diretto a Lodi, dove ho iniziato a spargere la voce. Dopo qualche lavoretto iniziale, alla fine sono diventato muratore, ufficialmente assunto da una ditta che ha anche regolarizzato la mia posizione. Ovviamente con quel lavoro riuscivo a spedire parecchi soldi a casa».
E tua moglie era finalmente felice.
«Felicissima. Ricordo il primo anno che sono tornato a casa dopo la mia partenza: stentavo a riconoscerla, tanto era serena e rilassata. Vederla così mi rendeva felice: ce l’avevo fatta doppiamente, per me e per lei. Non mi ci è voluto molto per convincerla a venire a Lodi. Nel giro di poco, grazie al ricongiungimento, eravamo entrambi sotto lo stesso tetto, da questa parte del mondo. Tutto andava bene».
Sembra una storia a lieto fine.
«E lo è. Sarà stata la serenità, sarà stato che Lodi porta fortuna, non so; fatto sta che pochi mesi dopo il suo arrivo mia moglie era incinta di nostro figlio, nato in Italia. Tutti i sogni che avevamo si sono realizzati».
Mi fa piacere.
«Anche a me ovviamente, ma non pensare che ora tutto sia facile. In casa siamo in tre e io sono l’unico ad avere uno stipendio come si deve, perché mia moglie fa la donna delle pulizie a ore e la sua paga più che altro serve per le piccole spese. Ma non mi lamento e come sempre mi do da fare».
Come?
«Qui ho imparato a fare il muratore ma anche a svolgere una miriade di piccoli lavoretti. Sai quante sono le persone che non sanno a chi rivolgersi per sistemare un gradino, aggiungere una presa in casa, portare una luce all’esterno o a volte addirittura attaccare un mensola? Io grazie al passaparola faccio anche quello, solitamente nel fine settimana. Poi se qualcuno deve addirittura tirare su un muro, nessun problema. Non mi fermo mai».
Perché?
«Innanzitutto perché ho bisogno di soldi, ma anche perché se mi fermo è la fine, non riparto più. Quindi vado avanti finché riesco».
Hai progetti particolari per il futuro?
«Particolari direi di no. Il mio progetto, semplicissimo, è restare qui in Italia, continuare a fare il mio lavoro, superare a testa alta questa fase di crisi e rendere felice la mia famiglia».
Tuo figlio si sente più italiano o rumeno?
«Dovresti chiederlo a lui, anche se ti devo confessare che quando torna a casa a trovare i nonni ha sempre mille critiche da fare a tutto e tutti. Imparerà ad apprezzare il Paese dei suoi genitori e a portare avanti a testa alta la nostra cultura, purtroppo infamata da persone spregiudicate».
Comunque resterai in Itala.
«Decisamente sì. Cosa mai potrei fare nel mio Paese che non possa fare qui?».
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