Rubriche/StorieImmigrati
Martedì 04 Giugno 2013
«Porterò i bambini con me, in Polonia. Ma lui non vuole»
Jolanda ha trentasei anni ed è una bellissima donna: alta, bionda, in forma, è impossibile non notarla per strada. Arrivata in Italia una decina d’anni fa, fino a pochi mesi or sono ha vissuto con il compagno italiano e i due figli. Poi, però, qualcosa si è inceppato.Prossima a una separazione definitiva – Jolanda nutre ancora qualche speranza che le cose si aggiustino – la nostra protagonista sta pensando seriamente di trasferirsi e portare i due figli in Polonia, che non stenta a definire «la loro casa».È una situazione complicata, la sua, e sarebbe interessante conoscere il finale.Buongiorno. Ha qualche minuto da dedicarmi per le storie di immigrati del Cittadino?«Ho giusto qualche minuto, sto andando a prendere il bambino all’asilo».
Se vuole la accompagno, così non perde tempo.«Va bene, ma non mi è chiaro cosa dovrei fare. Raccontare una storia?».
Raccontare la sua storia, la sa vita.«Attenzione. Ho capito, ma non è che poi la gente mi riconosce?».
Possiamo omettere alcune cose, cambiare nome e diventa irriconoscibile.«Ecco, perché sto attraversando un periodo difficile e decisamente non vorrei crearmi altri problemi».
Perché un periodo difficile?«Mi sto separando. O, meglio, mio marito vorrebbe separarsi nonostante io non sia d’accordo. A dire il vero non è nemmeno mio marito, è il mio compagno. Stiamo insieme da dieci anni, abbiamo due figli e lui di punto in bianco sostiene di essersi stancato».
Di cosa?«Della nostra vita insieme. “Jolanda, soffoco”, mi dice. E adesso è tornato a vivere da sua madre».
In Polonia?«No. Scusa, l’avevo dato per scontato: mio marito è italiano».
Come l’hai conosciuto?«Lavoravo per una signora anziana nel palazzo dove abita sua madre. Facevo la badante ventiquattro ore su ventiquattro e d’estate portavo la “nonna” in giardino a prendere un po’ di fresco. Il giardino della madre confinava con quello della signora che seguivo. Non so se hai presente quelle palazzine con pochi appartamenti e intorno un fazzoletto di terra diviso fra i condomini».
Sì.«Ecco, io vivevo e lavoravo proprio in uno di quelli. Lui un giorno si offre di darci una mano con la manutenzione del verde, anche perché io ero seriamente in difficoltà. La nostra storia è iniziata di nascosto, fino alla scelta della convivenza, ostacolata da tutto e da tutti».
Davvero?«Sì, davvero. La madre anziana mi dava della poco di buono, il fratello di lui era inferocito, convinto che stessi raggirando un uomo di quarant’anni. Ma è possibile secondo te raggirare un uomo di quarant’anni? Saprà quello che fa, no? Per questo, nonostante le mie insistenze non ha voluto sposarmi: in casa sua sarebbe stata una vera e propria guerra».
Così decidete di andare a convivere.«Esattamente. Io lascio il mio lavoro – non potevo seguire la casa facendo la badante fuori – e iniziamo a porre le basi per costruirci la nostra famiglia. Nel giro di un anno arriva il primo figlio. Dopo quattro il secondo, due maschietti».
Andava tutto bene?«Non del tutto. Tornavamo in Polonia molto raramente e qui non avevamo rapporti con nessuno, visto che con la madre, mia suocera, e il fratello i rapporti erano stati praticamente troncati».
Da parte loro?«Sì, ma anche e soprattutto da parte mia, vista la considerazione che avevano di me. Ultimamente mi ero accorta del fatto che fosse stanco, sempre svogliato, indifferente, ma non avevo dato peso alla cosa. Poi un giorno mi dice: “Scusami, ma io qui con te e i bambini soffoco. Torno a casa”. Adesso io sono nel caos più totale».
Immagino.«Vorrei tornarmene in Polonia e portarmi dietro i bambini, ma è già stata dichiarata guerra a questa mia idea. Quindi stiamo ancora vivendo qui, mantenuti dal mio compagno, che non vuole rinunciare per nulla al mondo ai suoi figli. Fosse per me ripartirei seduta stante, anche perché non ho nessuna intenzione di tornare a fare la badante. Non potrei nemmeno permettermelo, con due figli a casa».
C’è qualcuno che ti potrebbe dare una mano in Polonia?«Certo. Ci sono i miei genitori e mia sorella, mi stanno aspettando».
Tu perché eri partita, Jolanda?«Per trovare un lavoro, per cambiare vita. E mai avrei immaginato un salto di qualità del genere. Sono stata badante per un annetto e poi mi sono sistemata, anche molto al di sopra delle mie aspettative e di quanto avrei potuto immaginare prima della partenza. Partivo con un bagaglio, ora ho una famiglia. Peccato che le cose non siano andate come speravo, almeno non fino alla fine».
I tuoi che ti consigliano?«Di tornare a casa a gambe levate, anche perché qui sono da sola».
E i bambini?«Sono bilingue, possono ambientarsi benissimo anche in Polonia, comunicare e integrarsi. Non è un problema. E poi in fondo è quella casa loro. In questi anni abbiamo pian piano sistemato una villetta vicino a casa dei miei, potremmo trasferirci lì. Non so come faranno a vedere il padre, ma a questo punto il problema non riguarda me, riguarda lui. Si dovrà fare un po’ di chilometri».
E come vivrete?«Troverò un lavoro, in qualche modo ce la faremo. Poi mi sembra di aver capito che il mio ex-compagno dovrà mandarci qualche contributo. Insomma, in qualche modo ce la faremo. Eccoci arrivati. Scusami, ma devo andare».
Grazie Jolanda.«E di che? Mi raccomando, però, non voglio guai: ne ho già abbastanza».
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