«No, non torneremo più in Ecuador»

Damiano è stato il secondo della famiglia a partire per l’Italia e a ben vedere non ha fatto questa scelta per il denaro o la fortuna. No, Damiano ha lasciato l’Ecuador per amore – anche se stenta ad ammetterlo – e per fare in modo che il rapporto con la moglie non venisse compromesso dalla distanza, una grande distanza. E, come spesso accade, le buone intenzioni portano lontano aprendo nuove opportunità. Per Damiano si è trattato di un lavoro che lo rende felice, della possibilità di far studiare il figlio in Italia e di una ritrovata serenità. Mai il nostro protagonista avrebbe osato anche solo sperare in una vita tanto appagante. Fa piacere sentire come una situazione critica possa a volte essere il trampolino di lancio per un tuffo perfetto.

Salve, Damiano. Posso chiederle di dedicarmi qualche minuto e raccontarmi la sua storia? È per Il Cittadino.«Ma dai, volentieri. Dammi del tu, però».

Va bene. Allora procediamo. Da dove vieni?«Dall’Ecuador, c’è ancora tutta la mia famiglia là. Invece quella di mia moglie è tutta qua, nel Lodigiano».

Davvero?«Davvero. Ci sono qui sua sorella, con il marito e due figli, e suo fratello, con la moglie e il figlio. la domenica ci ritroviamo tutti ed è un vero caos. D’estate andiamo al Belgiardino e facciamo le grigliate, lo spazio non manca. D’inverno, invece, ci vediamo quasi sempre a casa nostra. Ti lascio immaginare com’è a fine giornata. Ma a noi piace così, e non ci importa più di tanto se i vicini si lamentano. È tutta invidia perché noi siamo uniti».

Capisco. «Non torniamo in Ecuador da molto tempo, per questo per noi è tanto importante sentirci una sola famiglia da questa parte del mondo. Non vogliamo perdere le nostre tradizioni. E poi ritrovarsi è anche un modo per non sentire nostalgia di casa».

Ti manca casa tua?«Mi sembra normale, no? Diciamo che non mi manca la mia vita precedente, considerato che era quasi esclusivamente fatica e sacrificio, ma casa mia, ah se mi manca. Godevo di una vista bellissima dal mio terrazzo e avevo intorno dei fiori rossi strepitosi. Una bibita ghiacciata a fine giornata in quella meraviglia ti faceva sentire appagato, soddisfatto. Ma poi la realtà riusciva a fare svanire in un istante quel piacevolissimo senso di benessere».

Com’era la tua realtà?«Lavoro duro in fabbrica dieci ore al giorno, uno stipendio da fame anche se ho un figlio soltanto e poco, anzi pochissimo tempo libero. Mia moglie faceva la casalinga, io ero l’unico a lavorare e gli affari non andavano tanto bene. Ho attraversato un periodo difficile».

Sei partito prima tu o tua moglie?«Mia moglie, anche perché suo fratello e sua sorella erano già qui. Le dicevano che per lei sarebbe stato più facile trovare un lavoro, e non sbagliavano. Un uomo nella vita non ha mai molte certezze. Una delle poche che avevo era che in quel modo, con così pochi soldi e tante spese, non potevamo andare avanti. Ma ho accettato a malincuore che mia moglie partisse. Sapevo che lo faceva per “salvarci”, ma credimi se ti dico che è stata dura».

Per quanto tempo non vi siete visti?«Due anni. Parecchio, vero? Due anni che lei ha trascorso facendo la badante, io continuando a lavorare in fabbrica e cercando di fare del mio meglio con nostro figlio. All’epoca era un ragazzino. Non sapevamo come saremmo usciti da questa situazione».

Vorresti spiegarmi meglio?«Mia moglie si trovava in Italia, io e nostro figlio in Ecuador. Iniziavano a girare più soldi, quello era evidente, ma la situazione non era proprio il massimo della vita. Quando le famiglie si separano per lungo tempo ritornare alla normalità è un’impresa. Io non volevo mandare all’aria tutto, nossignore».

Per questo sei partito?«Sì, per questo, e anche perché volevo rendermi utile come mia moglie. Ma non è stato semplice, anzi. Mi ci sono voluti più di quattro lunghi mesi per trovare un lavoro. Quattro mesi sono tantissimi, senza uno stipendio».

Dove vivevi?«A casa del fratello di mia moglie, perché lei abitava dalla signora che assisteva. Poi, lentamente, tutto ha iniziato a prendere una piega diversa: io sono stato assunto come autista, mia moglie ha smesso di fare le notti e finalmente è arrivata una casa tutta nostra. Non sapevamo se scegliere l’affitto o l’acquisto. Alla fine ci siamo detti: “Se possiamo sostenere il costo di un affitto, siamo in grado anche di pagare un mutuo, no? Compriamola, male che vada la rivendiamo”. È diventata casa nostra a tutti gli effetti».

In che senso?«Nel senso che non torneremo più a vivere in Ecuador».

Come avete fatto con vostro figlio?«Per un po’ ha vissuto con mia sorella e la sua famiglia. Era mia intenzione farlo venire in Italia quando tutto, e dico tutto, fosse a posto, perfettamente organizzato per lui. E così è stato: è arrivato i primi di luglio, a settembre era pronto per le scuole superiori, con tanto di lezioni di italiano».

È stato difficile?«Meno di quanto pensassi, sia per la lingua che per l’integrazione. Iniziava con i nuovi compagni il primo anno, in due mesi aveva avuto modo di imparare la lingua decentemente e soprattutto non doveva inserirsi a metà percorso. Sono soddisfatto dei suoi risultati: a giugno otterrà il diploma e potrà cercare un lavoro qui. Chi mai l’avrebbe immaginato?».

Tuo figlio si è trovato bene in Italia?«All’inizio era inferocito, non so se più nei miei confronti o in quelli di mia moglie. Poi giorno dopo giorno l’arrabbiatura ha lasciato il posto alla serenità. Ora è felice, al punto che una sera ci ha detto: “Adesso non penserete di tornare in Ecuador, vero?”. Non ci torneremo».

E tua moglie?«Mia moglie è contentissima di stare qui. Non fa più la badante ventiquattr’ore su ventiquattro, quindi finalmente può avere una vita propria, degli spazi per sé e per la famiglia. La domenica lei, la sorella e la cognata si mettono ai fornelli, e sembra ancora di essere a casa, tutto come prima, con il grandissimo vantaggio che ora non siamo più poveri».

Non tornate mai in Ecuador?«Siamo tornati poche volte: tre in sette anni. Davvero pochissime, se ci penso. Ogni tanto mia sorella mi sgrida, bonariamente, ma mi sgrida. Il problema è che il viaggio è costoso, quindi ogni volta rimandiamo. Prima è Natale, poi però sarebbe meglio Pasqua, quindi puntiamo sulle vacanze estive e intanto le stagioni passano, e con loro gli anni».

Sei soddisfatto del tuo lavoro?«Mi piace moltissimo. Faccio il camionista, forse non te l’avevo ancora detto. Avevo già avuto un’esperienza simile in patria, ma qui è tutta un’altra storia. Le strade sono di prima classe, altro che quelle ecuadoriane. Sto fuori, nel traffico ma fuori, vedo gente, chiacchiero con il cb, mi sento bene».

A quanto pare sei soddisfatto.«Non immaginavo che avrei potuto trovare la serenità in Italia. La mia vita adesso è questa. Mi fermo qui. Non vedo perché mai, dopo tanta fatica, dovrei tornare indietro».

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