Rubriche/StorieImmigrati
Mercoledì 09 Marzo 2011
Mohamed non ha perso la speranza
Il lavoro non si trova, ma non voglio tornare sconfitto in Tunisia»
La cosa più simpatica delle interviste in via Lodino a Lodi è che iniziano in due, con un intervistatore e un intervistato, da manuale. Poi, puntualmente, finiscono in quattro. Minimo. Mentre il protagonista racconta la sua storia, infatti, chi esce dai bar o dai phone center si aggiunge spontaneamente per portare il suo contributo: una traduzione, un punto di vista o una riflessione su un tema caro, un approfondimento, una segnalazione. Poi ci si mette anche la curiosità, e il gioco è fatto.
Così, la storia di Mohamed è anche un po’ quella della sua gente, dei tunisini che come lui hanno deciso di lasciare il Paese natale e che, sempre come lui, in Italia devono affrontare mille sfide.
«Se anche qui le cose non vanno – hanno spiegato in coro – nessuno di noi torna in Tunisia. O hai fatto una fortuna e rimpatri da vincitore, o è la fine. Vieni deriso e la gente che non ha avuto il coraggio di partire ti guarda dall’alto al basso dicendoti: “Hai visto? Ti sentivi tanto in gamba e invece eccoti qui. Potevi startene a casa tua”. Quindi, piuttosto tiriamo la cinghia e andiamo avanti». Ed è proprio questo che sta facendo Mohammed. È arrivato in Italia un anno fa, ha bisogno di un traduttore (ovviamente non ufficiale) perché non conosce la nostra lingua e da quando ha messo piede sul suolo italiano non ha un lavoro.
Finora ci ha pensato suo fratello, una moglie italiana e quattro figli, ad aiutarlo. Ma adesso che anche lui è disoccupato, il futuro sembra incerto.
Buongiorno Mohamed, ci dedicheresti qualche minuto per raccontarci la tua storia?
«Posso provarci, ma non so l’italiano. Non parlo nemmeno il francese. No, neanche l’inglese. Solo l’arabo, purtroppo».
Ci aiuteremo con i gesti, vediamo. Poi magari riusciamo a trovare qualcuno che traduca. Iniziamo da una domanda semplice: quanti anni hai?
«Ho ventiquattro anni, sono originario di Banzart, in Tunisia. Mi trovo in Italia da un anno soltanto grazie all’aiuto di mio fratello maggiore. Nel mio Paese non c’è lavoro, per questo sono partito. Poi mi sono accorto che anche qui il lavoro non c’è. Evviva».
Non hai mai lavorato?
«Mai, in un anno di permanenza qui non ho mai fatto niente, nemmeno un giorno da imbianchino. Finora c’è stato mio fratello ad aiutarmi. Ha una moglie italiana e quattro figli, ma nonostante questo è riuscito a prestarmi i soldi per affrontare le spese più impellenti. Si trova in Italia da molto tempo e ha sempre lavorato».
Di cosa si occupa?
«Fa il muratore o, meglio, faceva, perché adesso purtroppo ha perso il lavoro. È un bel problema, vero? Siamo in tanti senza uno stipendio qui».
Chi hai lasciato in Tunisia?
«Mia mamma e mio papà. E francamente pensavo che cambiare vita, emigrare, fosse la scelta più intelligente, nonostante il dolore che si causa alla propria famiglia. Nel corso degli anni avevo visto mio fratello “crescere” economicamente in modo consistente e sistemarsi, in ogni senso».
Ma si sta davvero così male nel tuo Paese? Possibile che in tanti dobbiate scappare per lavorare qui?
«Per darti un’idea ti faccio solo questo esempio: in Tunisia lo stipendio medio mensile è di centocinquanta euro. Qui un muratore li guadagna in due giorni. Capisci perché tanti partono? Se sei fortunato la tua vita può cambiare. Mio fratello era arrivato senza un soldo in tasca».
E adesso?
«Adesso ha una casa, una bella famiglia, un’automobile e la sua indipendenza. Volevo che anche per me la vita avesse in serbo queste belle sorprese. Ma non è andata esattamente come da programma: ora c’è questa famosa crisi e ci ritroviamo a piedi, io come molti connazionali. E a quanto ne so anche molti italiani. Tante speranze, tanti sogni e poi la dura realtà. Non so dove sbattere la testa».
Tu avevi un lavoro in Tunisia?
«No, non avevo “un” lavoro: avevo tanti di lavori. Per sopravvivere da noi devi ingegnarti in mille modi: ristrutturi, costruisci, tinteggi, ripari, sistemi, lavi, demolisci e fai qualsiasi cosa. In Tunisia quelli come me vengono chiamati i “generici”: sono persone in grado di fare un po’ tutto. Se hai bisogno, chiami un “generico” e il problema si risolve».
Ma a te il tuo lavoro non bastava...
«Non poteva bastare: dove vai con centocinquanta euro al mese? Nemmeno in Tunisia puoi farcela dignitosamente. Quindi ho seguito il consiglio di mio fratello e sono partito. Morale della favola, eccomi qui con le mani in mano, fuori da un bar, ad aspettare la buona occasione che non arriva mai».
A questo punto non ti converrebbe tornare nel tuo Paese?
«Stai scherzando? Non tornerei mai in Tunisia, non dopo aver lottato fino alla fine».
Ma perché?
«Per una serie di buoni motivi. Il primo è che il viaggio per venire qui mi è costato, e se tornassi ora quei soldi sarebbero letteralmente gettati al vento. Considerato che non sono miei e che devo restituirli, già su questo punto avrei qualche problema. Il secondo motivo è che nessuno torna a casa da sconfitto. Almeno non un tunisino. Sai cosa accadrebbe se tornassi adesso? La genti mi guarderebbe dall’alto al basso, riderebbe di me, mi direbbe che avrei potuto starmene a casa mia, che sono un incapace, un fallito. No, proprio non mi va di tornare in patria, non così, non adesso».
Ti capisco. Ma allora come fai a vivere qui, senza lavoro e senza soldi? Credo che se lo chiedano in molti.
«Innanzitutto tiro la cinghia e risparmio il più possibile, inoltre sto tempestando di richieste tutte le agenzie di lavoro interinale nel Lodigiano. Ti confesso che ogni tanto la speranza vacilla, ma poi penso che non bisogna mai darsi per vinti: prima o poi questa crisi finirà, no? Voglio essere fiducioso».
Il tuo Paese sta attraversando un momento storico importante. Come vivi questa situazione?
«La democrazia è un bene supremo. Sono contento che la mia gente si sia fatta sentire e si stia battendo. Sai, da noi alle elezioni in alcune regioni c’erano percentuali bulgare, fino addirittura al cento per cento – sì, cento per cento – dei voti per il presidente. E sai perché? Perché la scheda elettorale arrivava solo alle persone dichiaratamente favorevoli a lui. È democrazia, questa? Spero che presto tutto cambi, che davvero anche nei paesi arabi trionfi la democrazia. I tempi sono maturi, i tunisini sono pronti».
Ti sei trovato bene in Italia?
«Non posso che risponderti di sì, anche se non ho un lavoro. Qui vige il rispetto, qui c’è la democrazia, per tornare a ciò che stavamo dicendo poco fa, e poi mi piacciono anche le donne».
In Italia per sempre, dunque?
«Non conosco il futuro e non so cosa ne sarà di me, di mio fratello, di questa vita qui o in patria. Se potessi decidere io, indipendentemente da influenze esterne di qualsiasi tipo, resterei in Italia per sempre. Mi sono trovato bene, fin dal primo giorno. Certo, c’è la nostalgia di casa».
Non sei mai tornato?
«No, non vedo i miei genitori né i miei amici da un anno ormai. Ma posso resistere, non è questo il tasto dolente. Il vero problema è il lavoro: ti dai da fare in mille modi, ma se non c’è verso, non c’è verso».
Verissimo. Quindi ce la metterai tutta?
«Sicuramente. Però, come ben sai, tante cose non dipendono da noi: se questa situazione di stallo si protrarrà ancora a lungo, probabilmente sarò costretto a rifare le valigie: non posso gravare su mio fratello per sempre. Tornerò in patria a testa bassa pur non volendolo, sapendo di aver fallito».
Spero che questo non accada. Buona fortuna, Mohamed.
© RIPRODUZIONE RISERVATA