Tempo permettendo, Emma si posiziona su una panchina dei giardini del passeggio quasi ogni sera, per prendere un po’ d’aria. Ha deciso, d’accordo con la famiglia che segue come badante, di godere dell’ora al giorno di libertà in quel modo, rilassandosi e concedendosi una boccata d’aria più o meno fresca a seconda della serata.L’abbiamo incontrata lì, per caso, mentre mandava un messaggio al cellulare. Ventiquattro anni, la pelle bianchissima e i capelli biondo platino, ci ha raccontato la sua storia, o meglio quella della sua famiglia: dalla stabilità al tracollo, passando per la depressine del marito e ora la ripresa. L’Italia ha cambiato il suo futuro e quello dei suoi cari. I tempi bui sembrano alla spalle; merito del coraggio della nostra protagonista.
Sei qui a prendere un po’ di fresco?«Sì. Si sta meglio la sera, vero? Faccio la badante in un appartamento qui di fronte. Ho un’ora libera al giorno. Fino a qualche settimana fa sceglievo il pomeriggio, per fare due passi e magari qualche commissione. Adesso ho chiesto se possono lasciarmi libera la sera, almeno vengo qui a prendere una boccata d’aria. La temperatura è molto diversa dopo le nove. In estate il mio lavoro sembra più faticoso».
Davvero?«Ma sì. In casa non c’è l’aria condizionata, spingere la carrozzina e fare tutte le faccende domestiche è più impegnativo. Continuo a sudare, mi sento sempre appiccicosa, stanca, spossata. Sarà la pressione. Poi io non sono abituata».
Da dove vieni?«Dalla Polonia, e ti garantisco che le temperature sono decisamente meno torride».
Sembri molto giovane.«No, sembro: non sono giovanissima. Ho ventiquattro anni».
Dai, sei giovane. Se ti sente qualcuno dire che non sei giovane a ventiquattro anni, gli scappa una risata.«Da noi a ventiquattro anni la maggior parte delle donne ha famiglia, marito e figli. Ormai non sono più una ragazzina, alla mia età».
E cosa ci fai qui?«Guadagno la pagnotta, ecco cosa ci faccio. A casa ho un figlio e un marito disoccupato, che fino a qualche anno fa faceva l’operaio in una ditta di tappezzerie e tessuti, mentre adesso se ne sta con le mani in mano dalla mattina alla sera. È stato un momento molto difficile della nostra vita».
Quale?«Quello in cui si è ritrovato disoccupato. Un giorno gli dicono: “Inizia a cercarti un lavoro, perché fra due mesi chiudiamo”. Fra due mesi chiudiamo? Ma uno non lo sa prima se la sua azienda deve chiudere? Ogni operaio lasciato a casa è una famiglia che resta senza pane. A questo non ci pensano? Avvisare prima no? Ero inferocita, e un po’ me la sono anche presa con lui. Mi dispiace, ma è andata così».
Perché te la sei presa con lui, scusa? Cosa c’entrava?«Mi sembrava assurdo che non si fosse accorto di nulla. Ero convinta mi avesse tenuto nascosto qualcosa, che non avesse voluto dirmelo prima perché temeva la mia reazione. Non so. Poi la realtà è venuta fuori: nessuno sapeva niente, davvero. Hanno lavorato normalmente fino all’ultima commessa e poi ciao, tutti a casa».
Tuo marito non lavora da allora?«Sì, ormai sono più di tre anni. Dal giorno in cui è rimasto a casa la mia vita ha iniziato a sfaldarsi. Era perennemente incollato al televisore, con la faccia spenta. Sembrava un manichino, lì piazzato su quel divano. E io gli giravo intorno cercando di darmi da fare in casa e con il bambino. Ma settimana dopo settimana i soldi iniziavano a scarseggiare. E sai cosa succede quando non ci sono soldi?».
Dimmi.«Si litiga dalla mattina alla sera, senza sosta, per ogni minuzia. Non era una famiglia, quella, e non era nemmeno una vita. Lui sentiva di non avere chance, io sapevo di poter contare su una valida alternativa».
L’Italia?«Brava. Qui c’era mia cugina: aveva un lavoro ed era riuscita a rendere stabile, sia dal punto di vista economico sia dal punto di vista relazionale, la sua famiglia. Potevo fare la stessa cosa, emigrare e non pensarci più».
Perché dici “non pensarci più”.«Perché avevo già preso in considerazione l’idea di emigrare in tempi non sospetti, ma avevo concluso che non faceva al caso mio. Sai, io sono una persona che ama la tranquillità, che vuole stare serena, fra le persone che conosce, nella propria casa. Non sono una che ama l’avventura. Capisci cosa intendo dire?».
Credo proprio di sì: volevi stare a casa tua, in pace. Non ti andava di metterti in gioco.«Esatto. A me di tutte le belle cose che ci sono qui, ad esempio abiti, auto, tecnologia, interessano davvero ben poco. Stavo meglio a casa mia. Ma con un marito in quelle condizioni, c’era poco di cui essere felice. Sono partita una sera d’autunno, non lo scorderò mai. Credo di aver pianto per tre ore buone».
Per il tuo bambino?«Sì, per il mio bambino che aveva due anni e mezzo. Sapevo che non l’avrei rivisto per molto, moltissimo tempo. E infatti la prima volta che sono tornata a casa era passato quasi un anno».
Chi si occupa del tuo bambino?«L’ho lasciato a mia madre che vive vicino a casa nostra».
Non a tuo marito?
«Quando sono partita era molto giù di morale, sembrava un automa. Non me la sentivo di lasciargli il bambino, non so. Una sera gli ho detto: “Lo tiene mia mamma, tanto abita nella porta accanto”. Non ha battuto ciglio. Forse è stato meglio così».
Come vanno le cose adesso?«Meglio, molto meglio. Trovare un lavoro qui in Italia non è stato facile: ho dovuto far girare la voce, tramite mia cugina, e fare parecchi colloqui. Stavo quasi per accettare un lavoro molto impegnativo, con una donna malata d’Alzheimer particolarmente difficile da gestire, quand’ecco che arriva la telefonata di mia cugina per questo posto, a due passi da dove lavora lei. Essendo in centro a Lodi, vicino ai negozi e al supermercato, oltretutto con due persone praticamente autosufficienti, mi sembrava una pacchia. Eccomi qui, è andata meglio di quanto pensassi».
E a casa?«Anche in famiglia le cose vanno molto meglio. Stiamo ristrutturando la nostra casa, abbiamo rifatto l’impianto elettrico e con il mio stipendio riusciamo anche a mettere da parte un po’ di soldi, il che non guasta. Mio marito sorride più spesso e mia mamma mi ha detto che sta cercando un lavoro. Credo voglia farmi una sorpresa».
In che senso?«Mah, non so. Magari vuole telefonarmi un giorno e dirmi: “Emma, torna a casa, parti domani, ho un lavoro”. Sarebbe bellissimo».
Ci credo. Sei stanca?«Il problema non è che sono stanca, la stanchezza passa. È che mi manca il mio bambino. E questa nostalgia non passa mai, nemmeno un minuto. Adesso ha cinque anni e mezzo e io non lo vedo dalla scorsa estate».
Quest’estate non torni?«Sì, le ultime due settimane d’agosto. Di solito facevo un mese, ma quest’anno mi hanno chiesto se non posso restare un po’ di più, visto che i figli sono in vacanza fino a Ferragosto».
Pronta per partire?«Vuoi sapere una cosa? Mancano due settimane ma io ho già la valigia pronta, sotto al letto».
Grandissima Emma.«Non vedo l’ora. Sono talmente contenta all’idea che di notte faccio fatica ad addormentarmi. A proposito di notte, devo rientrare. Ciao, e buona estate».
Grazie, Emma, per il tuo tempo. E buon rientro a casa.
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