Mario in India faceva il benzinaio, qui lavora nei campi: «È rilassante»

Abbiamo incontrato Mario mentre spingeva il suo carrello verso l’ingresso di un supermercato. A parte l’abbigliamento folcloristico della moglie, bellissimo con i colori sgargianti, la coppia si notava per il turbante del nostro protagonista, un turbante tradizionale su un volto giovane, sorridente. Insolito, insomma. Con il sorriso e un pizzico di ironia, Mario ci ha raccontato la sua vita: un percorso lineare, senza grandi curve o cambi di direzione. Almeno, questo è ciò che si è percepito dalle sue parole, mentre in realtà, a ben vedere, di svolte ce ne sono state, eccome. Prima fra tutte la perdita del lavoro, poi la scelta di emigrare, infine questa parentesi italiana che vede Mario alle prese con l’agricoltura e i suoi misteri. Tutto, per questo ragazzo di 29 anni, ha un motivo. «Basta assecondare il destino e le scelte, che poi non sono scelte ma percorsi prestabiliti, si rivelano giuste», questa è la convinzione di Mario. Sarà, ma a volte il destino bisogna anche saperlo riconoscere.

Mi scusi, ha un minuto?

«Giusto un minuto, dobbiamo entrare a fare la spesa».

Ho notato il carrello, ma la disturbo perché deduco dal suo copricapo che è straniero...

«Intuitiva, eh?».

Ha visto? Leggo nel pensiero. India?

«Allora legge davvero nel pensiero».

Scherzi a parte, mi dedica o no dieci minuti? Vorrei raccontare la sua storia.

«Tu entra pure e incomincia a prendere la verdura, io arrivo».

Se vuole sua moglie può restare...

«Se va è meglio, così facciamo prima. Cosa vuoi sapere?».

Cosa ci fa un indiano in Italia?

«Belle domanda. Si guadagna da vivere. Adesso non leggi più nel pensiero?».

L’avevo immaginato. Perché hai deciso di partire?

«Ci sono strade che sono già tracciate. Non ho deciso io di partire, semplicemente ho seguito gli eventi, ho accettato quel che il destino aveva in serbo per me».

Ma perché voi con il turbante siete tutti filosofi? Sto scherzando, fino a un certo punto. Voglio dire, siete quasi sempre voi indiai a darmi queste risposte poco legate ai fatti, alla vita pratica.

«In che senso?».

Nel senso che altre persone di altri Paesi, alla stessa domanda rispondono in modo molto più concreto. Ad esempio “perché qui c’era mia zia”, “perché mio cugino mi avrebbe ospitato”, “perché sapevo che in Italia si guadagna bene”, eccetera....

«Anche io avevo qui mio zio».

Vedi?

«E quindi io mi sono limitato a seguire la strada che era stata tracciata per me».

Sei troppo forte. Cosa facevi in India?

«Non lavoravo da sei mesi. Fino a poco prima facevo il benzinaio in una stazione di servizio su una strada importante. Un lavoro duro, con orari abbastanza sfiancanti, ma pur sempre un lavoro. Poi mi dicono che devono ridurre il personale. Sono stato estratto a sorte».

Davvero?

«Eravamo in tre a lavorare in quel distributore di benzina, e uno di noi doveva stare a casa perché volevano mettere una macchinetta, uno di quegli aggeggi che si mangia il denaro due volte su tre. Almeno da noi, qui noto che funzionano. Comunque, non sapevano chi scegliere, così abbiamo estratto i nomi. Era un segno del destino».

Davvero? Ma non hai prima cercato un altro lavoro nel tuo Paese?

«Certo che l’ho cercato. Per sei mesi, come ti dicevo. Ma fin da subito mi sono attivato per mettermi in contatto con mio zio. Anzi no, è mio cugino. Scusa, ma mi confondo sempre con la lingua. Insomma, non avevo molte speranze. Non ho un diploma, non conosco nessuno di importante, non ci sono scorciatoie. E poi mio cugino poteva davvero darmi una mano. Se non era un segno del destino quello».

Tua moglie è arrivata molto dopo?

«Sì, sia come moglie che qui in Italia».

Cosa?

«Dicevo che è arrivata dopo come moglie nel senso che quando sono partito non eravamo sposati. C’erano tutte le intenzioni di costruirci una vita insieme, ma ci mancavano le risorse. È stato con il mio lavoro qui in Italia e una buona dosa di impegno che ho costruito, letteralmente giorno dopo giorno, i presupposti per una vita insieme».

Lei da quanto vive qui?

«Ormai sono tre anni. Si è sentita a suo agio fin da subito. Voleva partire forse anche più di me. Però ci siamo sposati in India, con le nostre famiglie e una cerimonia tradizionale».

Come hai trovato il lavoro in Italia?

«Grazie a mio cugino. Lavoriamo spalla a spalla, in campagna. Sai che mi piace, il mio lavoro?».

Ci credo...

«Molto meglio delle giornate alla pompa di benzina, con le macchine che sfrecciavano a pochi metri dalla mia sedia. Lavorare nel settore agricolo è faticoso, certo, ma anche “riposante” per la mente, in un certo senso. Come posso spiegartelo? Sudo tantissimo ma mi rilasso. Capisci?».

Credo proprio di sì. Come ti sei trovato in Italia?

«Tutto sommato bene. Il tasto dolente è la burocrazia per i documenti, l’infinita trafila per me e mia moglie. Poi c’è il fatto che le nostre famiglie stanno dall’altra parte del mondo e ogni tanto è nostalgia pura. Ma, a parte questo, l’Italia mi piace parecchio. Ho modo di mantenere le mie tradizioni e le mie abitudini, confrontandomi anche con una realtà profondamente diversa. Tutto dipende da me. Un supermercato come questo farebbe impazzire mia sorella, solo per farti un esempio. Qui tutto è super: vuoi un paio di scarpe? Vai di là e ne trovi a migliaia. Ti serve una maglietta? Hai solo l’imbarazzo della scelta. Idem per gli alimenti. A chi non piacerebbe?».

Sei mai tornato in patria?

«In questi sette anni? Sì, per il mio matrimonio e lo scorso anno con mia moglie, che aveva appunto nostalgia. È un viaggio lunghissimo, oltre che costoso. Ore di aereo, poi il bus e infine il taxi. Non si può fare tutti gli anni. Ma, se decido di partire, ogni volta quando arrivo vicino a casa penso: “Ne valeva la pena”. L’aria di casa è una cosa bellissima, inebriante. Come un profumo che ti entra nelle narici e non puoi fare a meno di respirarlo. È tutta la tua vita condensata lì, come se ti aspettasse».

Vivrai qui per sempre?

«Secondo te?».

Da come ti brillavano gli occhi mentre parlavi di casa tua, direi di no.

«Brava. Allora è proprio vero che leggi nel pensiero».

Grazie per il tuo tempo. Mi dici il tuo nome?

«Chiamami Mario. È così che tutti mi conoscono».

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