Maria: «Volevo far studiare le mie figlie»

Da cinque anni non fa ritorno a casa sua, in Perù: «Mi dico: resisti»

Maria Sol ha il nome in testa: è una donna molto solare, che trasmette allegria solo a guardarla. Non stupisce che le due bambine che segue come tata la adorino.Il motivo per cui si trova in Italia è presto detto: vuole garantire alle figlie, studentesse a Lima, un futuro migliore del suo, con una stabilità economica e magari anche qualche soddisfazione. «Se parti con un obiettivo preciso – ha spiegato – le difficoltà sembrano meno insormontabili. Io sapevo cosa volevo da questa vita: tutto il meglio per le mie ragazze. Nei periodi bui ho resistito, nei periodi belli ho gioito per la buona sorte ed eccomi qui, quarantatré anni suonati e buona parte dei miei sogni nel cassetto a portata di mano. Sono felice». E lo sarà ancora di più quando, il prossimo Natale, tornerà a casa, dalle sue figlie che non riabbraccia dal 2006.

Buongiorno, ha voglia e tempo di raccontarci la sua storia?

«Perché no? Devo curare le piccole mentre giocano, ma qui al parco sono tranquilla. Ha visto che belle, le mie bambine?».

Sono le sue figlie?

«No, sono troppo vecchia per loro. Io sono la tata».

Scusi, ma quanti anni ha?

«Quarantatré. Come potrei avere due figlie di quattro e sette anni? Le mie ragazze hanno diciassette e vent’anni, tutta un’altra cosa».

In Italia sarebbe più che possibile, mi creda. Anzi, del tutto normale.

«Ho notato che qui fate i figli tardi, a differenza di quanto accade da noi, che prima si inizia e meglio è. Comunque, cosa vuole sapere?».

Come accennavo, vorrei conoscere la sua storia. Diceva di fare la tata, giusto?

«Sì. Quando sono partita per l’Italia ero convinta di diventare una badante, proprio come mia sorella che da ormai dieci anni assiste gli anziani. Avevo anche un posto di lavoro, sa?».

Grazie a sua sorella?

«Esattamente. C’era una signora non autosufficiente da seguire, giorno e notte. Aveva una malattia invalidante, era molto aggressiva. Ricordo con grande dolore quel periodo: arrivavo dritta dritta da Lima, non parlavo una parola di italiano e di punto in bianco mi trovavo dall’altra parte del mondo con una signora particolarmente “esigente”, se così vogliamo dire, chiusa in casa dalla mattina alla sera. Credevo di impazzire. Era inverno, sempre buio, le luci in casa basse, molto silenzio, sempre, perché se accendevo la televisione o la radio la signora si innervosiva ed erano guai. Mi creda se le dico che ho sfiorato la depressione. Ho resistito solo per le mie figlie».

Per quanto tempo?

«Cinque mesi, poi sono crollata. Mia sorella non sapeva come giustificarsi, io credevo di aver mandato all’aria l’unica occasione della mia vita ed ero pronta a rifare le valigie. Ancora una volta, è stata mia sorella a darmi l’idea: “Prova con i bambini. Vedrai che andrà benissimo: li fai sempre sorridere”. Ho messo un annuncio e lì è iniziato un periodo traballante, ma più sereno».

In che senso “traballante”?

«Nel senso che non avevo una casa in cui vivere. Facevo la baby-sitter due o massimo quattro ore al giorno, quindi non avevo diritto a una stanza – e nemmeno mi sognavo di chiederla. Fortunatamente la signora per cui lavorava mia sorella si era resa disponibile a ospitarmi, ma non vedevo futuro. Ospite per tutta la vita? Nossignore, non faceva al caso mio».

Quindi cosa ha fatto?

«Niente. Bello, vero? Semplicemente mi sono detta: “Maria Sol, concediti sei mesi, metà anno, e sta’ a vedere cosa succede. Se non cambia nulla, torni a casa”. Ovviamente tornare a casa significava aver fallito».

Non bisogna prendersela così.

«Più facile a dirsi che a farsi. Immagini di aver investito tutti i suoi soldi per affrontare un viaggio che la porterà dall’altra parte del mondo dove, almeno così spera, potrà recuperare il denaro speso e realizzare i suoi sogni».

Sì, immagino.

«Ecco, e adesso immagini che il viaggio in questione si riveli un fallimento. Ma lei ha investito tutte le sue speranze e ha davanti agli occhi la faccia triste delle sue figlie che non potranno studiare e che, se tutto va bene, faranno la fame come lei. Torna a casa senza un soldo e senza speranze. Mi dica se non è un fallimento. Per questo in quei sei mesi ho tremato, e anche parecchio».

Poi cosa è accaduto?

«Il passaparola ha fatto miracoli: un’amica della signora per cui lavoravo (facevo la baby-sitter per il figlio piccolo di pochi mesi) aveva bisogno di una tata. Aveva due figlie, doveva rientrare al lavoro e gradiva una persona che parlasse lo spagnolo, cosicché le figlie potessero imparare una seconda lingua. Qui non si trattava più di poche ore, ma di tutto il giorno, almeno per tre anni, e di una regolare assunzione: la manna dal cielo».

Davvero.

«Non smetterò mai di ringraziare Dio per questo lavoro: ha cambiato la mia vita. Con l’assunzione ho potuto regolarizzare la mia posizione, prendere un appartamento in affitto con un’amica e inviare del denaro a casa contando su una certa stabilità economica. Sono riconoscente alla famiglia e ho un rapporto eccezionale con le bambine. Ogni tanto mi dicono “Tata Sole – mi chiamano così perché dicono che sorrido sempre, come il sole – ci porti a vedere la tua casa?”. Adorano venire da me e i genitori sono d’accordo».

Che bel rapporto.

«Le ho cresciute e le sento un po’ come figlie mie, anche adesso che ci vediamo meno perché vanno all’asilo e a scuola. Ho accettato anche altri lavori per arrotondare, ma loro sono sempre “speciali” per me».

E le sue figlie?

«Sono a Lima. Una sta finendo il liceo, l’altra si è iscritta all’università: studia diritto internazionale. Scherzando mi ripete sempre che verrà a fare un po’ di esperienza in Italia. Io preferirei invece che venisse semplicemente a trovarmi: voglio che viva come una turista, non come un’immigrata».

Cosa significa “vivere come un’immigrata”?

«Significa non sentirsi mai completamente a casa, magari per lungo tempo, come nel mio caso. Il turista si gode il momento, coglie il meglio di un Paese; l’immigrato invece a volte vede i lati più bui».

Da quanto non torna in Perù?

«Cinque anni. Ma questo Natale non rinuncio. Voglio riassaporare la magia delle feste a Lima, come quando ero piccola e mia madre incominciava a organizzare tutto una settimana prima. C’era tanta trepidazione, c’era quell’atmosfera speciale, aria di casa».

Perché è partita?

«Perché volevo che le mie figlie studiassero e avessero un futuro. Il padre si è rifatto una vita, ha una nuova famiglia. Su di lui non potevamo fare affidamento, decisamente no. Restavo io, ma non ce l’avrei mai fatta a crescere due ragazze completamente da sola».

Cosa faceva a Lima prima di partire?

«La cuoca nel ristorante di un albergo, in una zona prestigiosa della città. Non sarebbe stato male se avessi potuto continuare con quel lavoro: mi piaceva. Ma guadagnavo troppo poco, mentre le bambine crescevano e avevano sempre più esigenze. È andata bene così: grazie all’emigrazione io mi sono potuta occupare di loro dal punto di vista economico, mentre mia madre le ha seguite dal punto di vista educativo. Mi è sembrata una scelta vincente: oggi le mie figlie sono due ragazze molto in gamba. Non vedo l’ora di rivederle».

Come vi tenete in contatto?

«Essenzialmente con il computer, e anche con il telefono. Ma non mi basta, a volte vorrei che fossero qui con me. Se solo il viaggio non fosse così costoso. A volte mi dico: “Sai cosa ci fanno con tutti quei soldi, anche solo quelli del biglietto aereo, in Perù? Maria Sol, resisti. Un altro anno, solo un altro anno e le rivedi”. Ho resistito finora, fino al prossimo Natale».

Cosa vede nel suo futuro?

«Vorrei che entrambe le mie due figlie si laureassero e trovassero un lavoro. Il mio futuro è legato al loro. Quando saranno a posto, “sistemate” come dite voi, potrò tornare a casa».

Anche se ci vorranno anni?

«Certo. Starò qui finché avranno bisogno di me. Lo faccio volentieri, mi creda. Poi, quando finalmente tornerò a casa, mi godrò un po’ di quiete con la mia famiglia. Sarà bellissimo».

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