Manuel è proprio un venditore nato

Non mi trovavo in quel parcheggio per intervistare Manuel, anzi, ero infastidita dal fatto che non si possa mai parcheggiare l’auto in santa pace senza dover tirare fuori la moneta, perennemente in fondo alla borsetta, per “mandare via” qualcuno senza sentirsi in colpa. Ma Manuel non è come tutti gli altri. Non ti dice: “Oggi non ho venduto niente”, “Offrimi almeno un caffè” o “Guarda che belli questi calzini”, quando sono semplicemente orribili. Manuel ha una strategia mirata dalla sua, che lo rende simpatico oltre che efficace: ti accompagna chiacchierando all’auto, e sembra che si diverta; cerca un argomento di conversazione abbastanza convincente e solo allora tira fuori il cd che ha scelto apposta per te. «Non sempre li vendo, a volte li regalo. Tanto prima o poi la persona ripassa e io mi ricordo di tutto e di tutti. Allora magari domando: “Ti è piaciuta Emma? Guarda che ho qui un’altra novità interessante”. Mi avvicino, scambio due parole, e propongo un altro album». Manuel è un venditore nato, uno di quelli che le aziende cercano disperatamente per battere il territorio e che rappresentano una risorsa dal valore inestimabile.Ventotto anni, senegalese di Dakar, ha passato la sua vita in un mercato: la scuola migliore del mondo. Adesso sogna qualcosa di più, che stenta ad arrivare. Ma Manuel fa spallucce e se ne infischia; e si gode il presente ballando i latini in discoteca.«Come va, tutto bene? Dai che ti accompagno alla macchina».Guarda che non mi serve niente.«Ma io non voglio venderti niente. Che macchina pulita che hai».Macchina pulita? Proprio non direi.«Ah, vedo che c’è il mio collega».Sì, mi ha indicato lui il parcheggio.«Allora vado».Sei già tornato?«Ti consiglio di andare in discoteca a ballare i balli latinoamericani. Sali in macchina, poi ne parliamo».In macchina?«Tu sali in macchina e poi ne parliamo. Metti questo cd».Bello. «Sentito? Stasera lo metti a tutto volume e balli un po’, ti scateni».Va bene, ti do due euro. Ma a questo punto oltre al cd mi racconti la tua storia: vedo che ti va di chiacchierare.«Nessun problema. Cosa vuoi sapere?».Mi sembri un tipo in gamba, venderesti un ghiacciolo agli esquimesi, come si suol dire. Cosa ci fai qui?«Io qui ci vivo, questo parcheggio è il mio negozio. Sono passato ai cd, mi occupo solo di quelli. Le borse e le cinture, oltre ai calzini e tutto il resto, sono pesanti da portare e necessitano di una lunga opera di convincimento. I cd non chiedono molto: fai ascoltare la musica, proponi brani aggiornati e qualcosa vendi, a discrezione dell’acquirente, ma intanto il costo per realizzarli è davvero irrisorio».Lo sai che è illegale?«Lo so, ma non è che io abbia molte alternative. Lo considero un po’ come il minore dei mali, ecco tutto. Se non vendessi i miei cd non saprei come tirare a campare. Quindi chiudo un occhio e vado avanti. E intanto sono passati sette anni».Sette anni qui al parcheggio?«Yes, sette anni qui al parcheggio. Tutti i giorni. O quasi: proprio tutti no, il sabato e la domenica evito».Vuol dire che guadagni abbastanza.«Quello sì, abbastanza per sopravvivere e concedermi qualche svago. Ad esempio ogni tanto il sabato sera vado a ballare i latini. Divertentissimo. Sono riuscito a convincere due connazionali che si sono appassionati come me».Sembri un tipo allegro.«E perché non dovrei esserlo?».Ho intervistato parecchie persone che fanno il tuo lavoro e mi sono sempre sembrate giù di morale.«Prima cosa: sembra una banalità ma io non accetto la “mancia”. Non mi interessa che mi paghino il caffè o che per compassione qualcuno allunghi la moneta. Venti centesimi non mi cambiano la vita, ma riescono a farmi sentire un accattone. Giusto?».Capisco cosa intendi.«Non sono qui a fare l’elemosina, sono qui per lavorare. Ok, faccio un lavoro penoso, ma comunque meglio di molti altri lavori, giusto?».Giusto.«Quindi arrivo a sera mantenendo integra la mia dignità. Già questo non mi porta a essere triste. Sono un ragazzo che lavora per vivere, come mille altri. Inoltre me la cavo anche abbastanza bene con questo lavoro, sono un bravo venditore».Me ne sono accorta.«Lo vedi quel ragazzo là?».Quello a cui ho dato un euro?«Esatto. Lui aveva diritto di mostrarti le sue cose prima di me perché la tua macchina è nella sua zona».Che brutto discorso.«Ma è così. È venuto verso di te con la faccia triste, il muso lungo, tenendo in mano le sue cose. Tu gli hai detto: “Non compro niente” e poi gli hai allungato l’euro. Non venderà mai niente e si sentirà un accattone, finché continuerà a proporsi in quel modo. Io sorrido, cerco di capire dal look e dall’età della persona che musica ascolta, vado sul sicuro, più o meno. Faccio due battute, entro in sintonia, e a quel punto vendo».Sembra che tu abbia seguito un corso di vendita.«Ho seguito il migliore del mondo».Davvero?«Quello del mercato di Dakar, dove ho lavorato con la mia famiglia per tutta l’adolescenza. Mio padre è stato il mio guru. Lui mi diceva sempre: “Vedi, Manuel, la gente non ha né soldi né tempo da buttare. Se vuoi vendere la tua merce devi essere bravo due volte. In primo luogo devi capire di cosa hanno bisogno senza lasciare intendere che li stai studiando. Per questo osserva e chiacchiera, facendo finta di niente. In secondo luogo devi trovare una motivazione per il loro acquisto, che li spinga ad aprire la saccoccia del denaro. Tutto questo in massimo tre minuti”».Saggio. Di cosa si occupava?«Abbigliamento tradizionale, maschile e femminile. Io e i miei cinque fratelli siamo cresciuti grazie alla sua attività».Perché tu sei partito?«Anche mio fratello minore è venuto con me. Sono partito perché volevo qualcosa di più. Mio padre ha lavorato tutta la vita, ogni singolo giorno della sua esistenza. Non ha mai lasciato non dico Dakar, dico il quartiere in cui vivevamo. E quando è morto non avevamo da parte nemmeno i soldi per il funerale. Certo, ci ha fatto studiare, ci ha messi in condizione di imparare a portare avanti la tradizione di famiglia, che è appunto la vendita. Ma io volevo qualcosa di più».E l’hai trovato?«Certo che no, ma almeno sono qui. Finché mi trovo in Italia le cose posso cambiare. Se resto in Senegal non ho un grande futuro davanti. Ce la faccio, arrivo a fine mese, spedisco un po’ di soldi a casa e qui ho amici e divertimenti. Non ho di che lamentarmi, soprattutto se penso da dove vengo».Tuo fratello vive con te?«Sì, abbiamo fatto il viaggio insieme e ci siamo organizzati qui insieme. Abitiamo nello stesso appartamento, con altri tre connazionali. Abbiamo mezz’ora di treno per venire al lavoro, ma non mi dispiace: la gente mi conosce, due parole ci scappano sempre e mi sento a casa».Cosa farai in futuro, Manuel?«Non ne ho idea. Ma perché poi dovrei preoccuparmi per il futuro? Voi ci pensate troppo, al futuro. Meglio godersi il presente e farsi qualche risata ogni tanto».Hai perfettamente ragione.«Segui il mio consiglio, pensa al presente. Stasera ascolta il mio cd e balla. Divertiti».Mi hai convinta, lo farò. Promesso. Grazie.«Grazie a te. Ci vediamo presto».

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