Antonella ha perso il lavoro proprio ora che il marito l’aveva trovato. Qui dipende da che punto di vista si guarda il bicchiere: è mezzo vuoto se si pensa alla sfortuna di avere avuto pochi mesi a disposizione con due stipendi, o mezzo pieno, se si considera il fatto che non ci sia mai stato, in quella casa, un mese senza reddito.Ottimisti o pessimisti, la situazione per Antonella resta comunque abbastanza grave: tre figli, nessun risparmio da parte e troppo incertezze per il futuro. A dispetto di tutto questo, non c’è disperazione nel suo racconto. Solo una tristezza sorda come certi dolori che non fanno gridare.
Sta andando al lavoro? La disturbo?«No, non ce l’ho più il lavoro. Quindi non mi disturba».
Le dispiace se le chiedo di raccontarmi la sua storia per Il Cittadino?«No, anzi, mi fa piacere. Chissà che magari qualcuno, leggendo, non mi offra un lavoro. Non aspetto altro».
Da quanto tempo è disoccupata?«Sono due mesi, ma mi sembra una vita. Prima era mio marito a non battere chiodo. Un anno senza nulla da fare, nemmeno un lavoretto. Poi finalmente lui viene chiamato per un nuovo cantiere: “Cavoli, abbiamo due stipendi finalmente”, ci diciamo una sera. La festa è durata poco: quattro mesi, e poi è stato il mio turno. Sembra incredibile».
Davvero.«Sa qual è il bello, diciamo “il lato positivo” della faccenda? Se proprio ne vogliamo trovare uno è che grazie al cielo ci siamo passati il testimone. Se fossimo rimasti in due senza impiego, credo che saremmo esplosi, intendo dire come famiglia».
Avete figli?«Tre, due grandi di dieci e dodici anni, e una piccola di tre. Non abbiamo risparmi da parte, viviamo con i soldi che guadagniamo ogni mese, quindi capirà che uno stipendio in meno è una differenza abissale. Io ho imparato a risparmiare su tutto: compro solo le cose in promozione, approfitto dei saldi l’anno prima per il successivo, ma non basta. Scusi se mi viene da piangere».
Mi dispiace. Ma cos’è successo precisamente?«Facevo la badante, sette giorni su sette, ventiquattro ore al giorno. E non era facile, con una bambina di tre anni a casa. Ma i soldi ci servivano, come le dicevo. Andava tutto bene, mi sembrava che sul lavoro mi apprezzassero. Fino a quando non sono stata costretta a operarmi al tunnel carpale, entrambe le mani. Io non potevo riprendere il lavoro, il dolore era troppo forte, e la famiglia per contro aveva bisogno di una persona che mi sostituisse. Hanno preso la scusa che era meglio che stessi a casa con la piccola».
Queste frasi più per giustificare le proprie scelte a se stessi che per essere sinceri sono veramente deprimenti.«Non puoi rispondere nulla a un’affermazione del genere. È vero che starei meglio a casa con la mia bambina, ma come posso farlo se poi non ho i soldi per vestirla, nutrirla e farla crescere serenamente? Lasciamo perdere».
Da dove viene, Antonella?«Dalla Romania, ma sono in Italia da parecchio tempo, più di quindici anni. La mia famiglia è arrivata dopo».
È stata lei la prima a partire?«Esattamente. Avevo capito che se non mi fossi data da fare non avrei mai potuto permettermi di avere una famiglia».
Cosa intende dire?«Ero sposata, io e mio marito avevamo entrambi un impiego, ma i soldi non bastavano per due, figuriamoci per tre. Vivevamo a casa dei genitori di mio marito, dove avevamo una stanza a nostra disposizione: un letto, due comodini e un armadio, punto e basta. Io facevo la commessa in un negozio, lui l’operaio in una fabbrica dalle sorti incerte. Sopravvivevamo, nulla di più».
Cosa le ha fatto venire l’idea di emigrare?«Una conoscente partita tempo prima. Tornava ed era bellissima: sorridente, piena di regali per tutti, ben vestita. Sembrava “leggera”, non so se mi spiego. Mi riferisco a quel senso di leggerezza che pare trasudare da chi ha superato un problema. “Anche io posso farcela”, mi dicevo. Mio marito non era molto d’accordo, ma non poteva farci nulla: la realtà era sotto i nostri occhi. Dovevamo solo decidere se cambiarla o meno».
Aveva idea di cosa avrebbe trovato in Italia?«Speravo solo di trovare quella leggerezza, di trovarla dentro di me. Ciò che c’era fuori mi interessava relativamente. Non ne potevo più di avere preoccupazioni».
È andata così?«All’inizio sì, fino a poco prima della crisi tutto è andato decisamente bene. Ho sempre fatto la badante, fin da poche settimane dopo il mio arrivo. È un lavoro che ti sistema al volo, con una casa e il vitto garantiti a partire dal primo minuto di lavoro. Quando un lavoro – per i mille motivi della vita – arrivava alla fine, ce n’era un altro dietro alla porta, perché questa o quella famiglia aveva bisogno di una badante. Io mi davo da fare, spedivo i soldi a casa e tutto filava liscio. Le cose andavano talmente bene, che in capo a due anni mio marito era qui».
Lavoro facile anche per lui?«Meno del mio, questo è certo, ma grazie ad alcuni amici nel giro di sei mesi era in cantiere. Eravamo felici: nessun problema, solo prospettive, buone prospettive. Poi sono arrivati i bambini, una grande gioia. Io sembravo lo spot televisivo dell’emigrazione».
In che senso?«Nel senso che tornavo in patria e non facevo altro che parlare di quanto l’Italia potesse fare felici tutti. Le mie amiche e le mie sorelle stentano a credere alle mie parole quando descrivo la nostra situazione ora. Come le accennavo noi non abbiamo grandi risparmi da parte: i soldi guadagnati sono stati quasi tutti investiti in una nuova casa in Romania. Questo ci lascia in tasca poco e nulla».
Cosa farà nei prossimi mesi?«Buona domanda. Prima, quando finivo con una famiglia, restavo pochi giorni senza lavorare, poi i pochi giorni sono diventati settimane, non so se per la concorrenza o per la crisi. Adesso staremo a vedere. Non sono più ottimista come un tempo. Ho paura di non farcela».
Vorrebbe continuare a fare la badante?«Anche la donna delle pulizie o la baby-sitter andrebbe benissimo. Qualsiasi cosa, davvero. Io ho una famiglia da mandare avanti e quella è la mia priorità, punto e basta».
Almeno suo marito ha un lavoro sicuro? «Sì, però non mi faccio illusioni. Fa il muratore e il settore è in crisi come non mai. Ma almeno è stato chiamato per un cantiere che dovrebbe restare aperto per almeno due anni. Mi sembra un periodo più che accettabile. Se nel frattempo riuscissi a trovare anch’io qualcosa, sarebbe perfetto».
Mi diceva che avete comprato una casa in Romania. Contate di tornare a vivere là?«Non lo so. All’inizio era il sogno di entrambi. Adesso notiamo che i ragazzi si stanno ambientando perfettamente in Italia. Se loro vorranno restare qui, per noi non avrà senso tornare. Non so, non mi faccio domande su un futuro così remoto. Conta di più quel che farò domani, perché ne va del benessere di tutti noi».
© RIPRODUZIONE RISERVATA
 
     
             
            